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La storia dell'arte

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Cos'è l'Homo Sapiens?

Un ominide con pollici opponibili, frutto di millenni d'evoluzione; dolorosa, sanguinosa, crudele e necessaria per la sopravvivenza.

I bisogni primordiali dell'uomo?

Mangiare, dormire, coprirsi.

Cercare risorse, trovare risorse, uccidersi per le risorse: per mangiare, per dormire, per coprirsi.

Oltre a questo, un bisogno insopprimibile e totalmente superfluo, ma incredibilmente coriaceo e scolpito a forza (primitiva) nel DNA: esprimersi lasciando il segno del passaggio su questo pianeta.

La storia dell'arte è la storia stessa dell'umanità: segni, incisioni, suoni, colori, parole.

Un desiderio profondo dell'uomo di comunicare il sé, in un percorso millenario: dai primissimi graffiti delle caverne sino agli iperealisti, un viaggio incredibile di uomini incredibili, capaci di immaginare ciò che spesso era difficilmente immaginabile, e di dipingere quello che era ritenuto impossibile da ritrarre.

Questa è una beve pagina d'approfondimento sulla storia dell'arte mondiale: cos'è, da dove nasce, come s'è sviluppata e grazie a chi s'è evoluta sempre di più.

Buona lettura!

NOTA: Schematizzare e riassumere tutta la storia dell'arte prodotta dall'essere umano in oltre 150.000 anni è decisamente impossibile, almeno in questo contesto.

Datosi che la produzione artistica è strettamente connessa all'evoluzione antropologica, risulterebbe un lavoro titanico, forse neppure così interessante.

Questa pagina concentra quindi i passi fondamentali delle arti visive e plastiche concentrandosi specialmente sulla produzione occidentale.

L'arte è la vita.

L'istinto primordiale dell'uomo

I primi segni lasciati dall'uomo di cui abbiamo memoria e prova, che si possono canonicamente inquadrare come 'arte', risalgono addirittura al paleolitico, presumibilmente nel periodo d'inizio dell'età della pietra, cioè tra i 30.000 ed i 40.000 anni fa.

Sono principalmente pitture od incisioni murali, lasciate nelle caverne e nelle grotte dove le prime comunità di ominidi tentavano di costituirsi e cercare riparo.

Le incisioni ruprestri della Val Camonica
Le incisioni ruprestri della Val Camonica

Datosi che, al tempo, gli esseri umani erano principalmente cacciatori, le prime produzioni artistiche vedevano raffigurati principalmente animali, e non è escluso che tali disegni fossero parte di un più complesso rito propiziatorio, dal carattere magico.

Sono stati rinvenuti anche piccoli manufatti scolpiti nell'avorio, nell'osso e nella pietra, raffiguranti figure femminili solitamente molto prosperose: questo lascia intuire un probabile significato legato alla fecondità, in particolar modo alla nascita della nuova vita.

Mammuth, bisonti e cavalli, ovverosia i soggetti più raffigurati nelle pitture murali, presumibilmente avevano un valore molto più importante rispetto a quello che la nostra iconografia attuale gli attribuirebbe.

S'è ipotizzato che la riproduzione pittorica degli animali potesse essere in qualche modo correlata alla capacità di aver effettivamente una buona caccia, e quindi l'arte del dipingere sicuramente era considerata un rito mistico, dell'estrema importanza.

Delle pietre lavorate del neolitico
Delle pietre lavorate del neolitico

L'arte prima della storia

L'esigenza dell'uomo di comunicare in forma visiva continuò e progredì nel neolitico: la trasformazione delle società da prettamente nomadi a semi-nomadi, con l'inizio dell'allevamento e dell'agricoltura portò anche la creazione dei primi manufatti d'uso quotidiano.

Vasi ed anfore sono le produzioni principali, e su di esse vengono raffigurate le prime forme umane stilizzate, così come iniziano ad essere dipinte forme prettamente geometriche.

Le famose incisioni rupestri della Val Camonica appartengono esattamente a questo periodo storico, e ci hanno lasciato una straordinaria testimonianza di usi e costumi di un periodo lontanissimo, fungendo quindi da incredibile libro di storia, e non solo artistica.

La pittura di una danza
La pittura di una danza

Con l'età del rame, cominciò la lunga storia della metallurgia, e con essa la produzione di monili ed opere a sbalzo.

Dal IV millennio a.C. al I millennio a.C., nella cosidetta 'mezzaluna fertile', ossia la vallata della Mesopotamia tra i fiumi Tigri ed Eufrate adatta all'agricoltura, si svilupparono una serie di civilità estremamente importanti non solo in ambito artistico, ma per tutta la storia dell'evoluzione antropologica umana: i Sumeri, gli Accadi, i Babilonesi e gli Assiri.

Specialmente i Sumeri, con le loro città-stato poste tra i due fiumi della Mesopotamia, sono stati la prima civiltà nota a trasformare i disegni stilizzati in un vero e proprio primo sistema di scrittura, con caratteri cuneiformi.

L'evoluzione del disegno, da rappresentativo e descrittivo a comunicativo, capace cioè di intendersi come un linguaggio standard per trasmettere informazioni, sancisce la fine della preistoria, e l'inizio della storia.

Delle statue di dei sumeri, eccezionalmente conservate
Delle statue di dei sumeri, eccezionalmente conservate

L'arte sumera

L'arte sumera, fiorita nelle tre principali città (Ur, Lagash e Uruk), rispecchia l'alto livello di urbanizzazione dei centri abitati: sono stati rivenute statue finemente scolpite, principalmente a carattere religioso, che spesso si mischia però con la divinizzazione di presumibili potenti dell'epoca.

Specie nel II millennio a.C., la tecnica scultorea diventa la principale forma espressiva artistica, con importanti opere a rilievo, mentre cominciano ad essere costruite le prime imponenti opere architettoniche: enormi costruzioni su più piani chiamate Ziqqurat, degli alti santuari probabilmente a carattere religioso costruiti con mattoni di fango e paglia, idealmente raffiguranti tutto il mondo allora conosciuto.

L'imponente Ziqqurat di Ur, ancora eccellentemente conservata
L'imponente Ziqqurat di Ur, ancora eccellentemente conservata

Con l'avvento degli Accadi attorno al 2350 a.C. l'arte subisce un'ulteriore innovazione: scompaiono quasi del tutto le statuine-feticcio molto popolari tra i sumeri e cominciano ad essere prodotte statue a grandezza naturale, raffiguranti quasi sempre i regnanti, a cui vengono conferiti poteri quasi divini.

La lavorazione dei metalli progredisce di molto, e sono fabbricati monili sempre più elaborati, con particolare importanza ai bracciali, su cui spesso vengono sbalzati episodi dalla mitologia popolare del periodo, come ad esempio l'epopea dell'eroe Gilgamesh.

L'arte egizia

Attorno al IV millennio a.C. lungo la valle del Nilo, resa molto fertile dalle periodiche sedimentazioni del limo, si sviluppò una fiorente civiltà inizialmente a carattere prettamente agricolo, e poi divenuta, nel corso dei millenni, una delle più importanti della storia umana: quella egizia.

Dall'unificazione dei due regni, il Basso e l'Alto Egitto, ed il conseguente inizio della I dinastia ad opera del faraone Narmer, il regno prosperò in maniera considerevole, tanto da divenire in breve tra le civiltà più all'avanguardia dell'interno mondo antico.

La tipica pittura egizia, con vista laterale e bidimensionale
La tipica pittura egizia, con vista laterale e bidimensionale

Estremamente avanzati a livello tecnologico, medico e scienfitico in generale, gli antichi egizi usarono l'arte in maniera massiccia, con una produzione sterminata di opere spesso monumentali, quasi tutte con lo scopo di materializzare l'emanazione del potere divino nell'organismo di controllo centrale (ossia il faraone).

Quasi tutta l'arte egizia è quindi a carattere religioso e sociale: in un regno dove l'ordinamento civile era indissolubilmente connesso alla credenza religiosa, le opere degli artisti miravano essenzialmente a ribadire l'autorità divina del re, ed il complesso pantheon di divinità della loro religione aiutava di molto la varietà dell'iconografia.

La scultura vide una grandissima evoluzione, grazie anche alla grande facilità di approvvigionamento di materiale lapideo.

Le figure sono imponenti, delicatamente modellate e viene idealizzato per la prima volta nella storia un canone di proporzioni, che diverrà comune per secoli a tutti gli artisti.

Le statue dei faraoni: il più tipico esempio di scultura egizia
Le statue dei faraoni: il più tipico esempio di scultura egizia

La vocazione monumentale dell'arte egizia

Le opere sono essenzialmente di carattere funerario, e la prospettiva obbligata è quasi sempre frontale.

La pittura diventa un'arte raffinata, eseguita principalmente su intonaco fatto di gesso, paglia e fango: le riproduzioni principali delle figure umane e divine sono bidimensionali, colorate e dai contorni ben definiti, a cui vengono aggiunti motivi prettamente geometrici.

L'architettura diviene l'arte primaria, in cui vengono confluiti enormi sforzi e grandissime risorse economiche e sociali: le piramidi, ossia le caratteristiche gigantesche tombe funerarie per i faraoni, sono l'esempio più celebre pervenuto fino a noi.

Le piramidi: immense tombe per i faraoni
Le piramidi: immense tombe per i faraoni

Nel corso di una storia durata oltre 3000 anni, l'Egitto ha prodotto una quantità enorme non solo di opere artistiche, ma anche di tecniche e progetti architettonici ed urbanistici unici, tanto che molti storiagrafi ritengono la 'civiltà' egizia come la prima strettamente intesa con tutte le accezioni che diamo noi attualmente alla parola.

L'arte greca: lo standard occidentale

Parallelamente all'incredibile evoluzione egiziana nell'età del bronzo, un'altra popolazione del mondo cominciò a svilupparsi, espandendosi a macchia d'olio per tutto il bacino mediterraneo mediorentale, superando l'Ellesponto ed il Bosforo per arrivare ad estendersi anche nel Mar Nero: la civilità greca.

Sebbene l'antica Grecia non abbia mai avuto un'unità politica vera e propria, tutti i popoli ellenici hanno condiviso valori comuni, legati appunto ad una concezione artistica, ad una lingua e ad una religione.

La mano di Fidia, uno dei più grandi scultori greci dell'antichità
La mano di Fidia, uno dei più grandi scultori greci dell'antichità

L'arte greca ha avuto una tale importanza e ha esercitato un'influenza culturale così forte per così tante aree geografiche dell'Eurasia e dell'Africa che i suoi effetti si possono vedere ancora ora nella società attuale occidentale.

Nella sterminata produzione durata quasi due millenni, la cultura greca ha realizzato opere scultoree, pittoree ed architettoniche talmente imponenti e concettualmente avanzate che diversi canoni sono ancora presenti oggigiorno.

Le splendide decorazioni dei vasi in terracotta
Le splendide decorazioni dei vasi in terracotta

L'arte greca ed il mito

Principalmente, l'arte greca ha per base il mito: la variegatissima religione e l'ampissimo pantheon di dei, semidei e mostri di ogni forma e fattura ben si son posti nella rappresentazione sia pittorica che scultorea.

Le immagini degli dei e degli eroi greci sono ritratte secondo canoni universali, diffusi ovunque le colonie greche fossero arrivate, e in lingua greca la parola τεχνη (tekhnê), tradotta approssimativamente come 'arte', in realtà indicava la pura artigianalità e l'abilità manuale, che sarebbe molto più appropriato considerare come la parola 'tecnica' (parola da cui peraltro deriva).

Ciò che rimane del Partenone, nell'Acropoli di Atene
Ciò che rimane del Partenone, nell'Acropoli di Atene

Questo fa immediatamente capire quando l'arte fosse parte imprescindibile del tessuto sociale dell'epoca: gli artisti avevano piena consapevolezza del loro ruolo, e spesso molti di essi ritenevano la professione al pari o superore alla politica stessa, al tempo una delle poche attività considerate 'accettabili' per un cittadino di alto livello sociale.

Cantami, o Diva, del pelide Achille l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei.

L'arte e la metallurgia nella tradizione greca

Le tecniche di fusione dei metalli, in particolare del bronzo, raggiunsero livelli d'alta qualità: sono giunte sino a noi statue in molti casi eccellentemente conservate (è il caso dei famosi 'bronzi di Riace'), e la scultura spesso si univa alla pittura, in quanto solitamente le statue (sia di bronzo che di pietra) venivano dipinte.



La parola 'siderurgia' e la parola 'siderale' hanno una radice comune, che è il greco σίδηρος (sidēros) ovverosia il ferro.
Perché questa curiosa affinità?
È presto detto: fino al 1200 a.C. circa (quindi, fino alla fine dell'Età del Bronzo), il ferro era un minerale raro e preziosissimo: in realtà in natura è molto abbondante, ma gli antichi greci ancora non avevano trovato il modo per estrarlo dalle rocce sedimentarie.
Se ne approvvigionavano quindi in piccolissime quantità, che riuscivano a ricavare dalle rocce meteoritiche, cioè dagli oggetti celesti precipitati sul nostro pianeta e non totalmente bruciati per il tremendo attrito dell'atmosfera.
Esatto, le famose 'stelle cadenti'!
Ecco perché in latino stella si dice sīdus: erano niente meno che le rocce meteoritiche piene di ferro chiamate 'sidēros' dai greci.
La lavorazione del ferro con il suo processo estrattivo segnò un punto così importante nella storia umana da dare il nome a tutta un'era (l'Età del Ferro, per l'appunto) e permettere un deciso passo in avanti dell'evoluzione tecnica della razza umana.

Le lavorazioni dei metalli di fusione delle sculture erano spesso molto complicate, e sovente venivano inseriti elementi differenti: sempre prendendo come paragone gli eccezionalmente ben conservati bronzi ritrovati a Riace (opere della metà del V secolo a.C.), sappiamo che gli artisti sculturi dell'epoca univano il bronzo all'argento, al rame e anche alla pietra e al legno, per ricreare particolari anatomici con mirabile realismo.+

La produzione di vasellame, con terracotte e ceramiche subisce una notevole evoluzione: l'arte raffigurativa di scene mitologiche è la più rappresentata, e le tecniche di colorazione raggiungono risultati pregevolissimi.

Il famoso "Discobolo" di Mirone - Copia romana dell'originale in bronzo
Il famoso "Discobolo" di Mirone - Copia romana dell'originale in bronzo

I templi greci

L'architettura è tra le arti più importanti nella cultura greca: la costruzione dei templi per venerare le molte divinità era considerato un dovere, e l'edificazione del santuario doveva risultare la massima espressione dell'equilibrio e dell'armonia.

Gli spettacolari "Bronzi di Riace", autentiche statue greche risalenti al V secolo a.C. incredibilmente ben conservate
Gli spettacolari "Bronzi di Riace", autentiche statue greche risalenti al V secolo a.C. incredibilmente ben conservate

I templi erano dunque opere in cui le comunità riversavano una grande quantità di denaro e risorse, e per la loro costruzione venivano chiamati i più grandi artisti disponibili sulla piazza.

Tra i tanti templi eretti nel corso dei secoli nell'arcipelago greco e nella Magna Grecia (l'attuale sud Italia), particolarmente importanti e ben conservati sono quelli di Poseidone a Paestum, il Partenone di Atene ed il tempio della Concordia ad Agrigento.

Tra i tantissimi artisti greci di rilievo, è doveroso ricordare almeno il grande scultore ed architetto ateniese Fidia, creatore dell'enorme statua di Atena Promachos (purtroppo distrutta durante il medioevo) e supervisore della costruzione del Partenone.

L'ellenismo

Con la grande campagna di Alessandro Magno conclusasi con la sua morte nel 323 a.C., lo sterminato territorio conquistato dal condottiero macedone fu spartito tra suoi quattro generali, che formarono altrettanti quattro regni, chiamati ellenistici.

Proprio grazie a questa enorme espansione territoriale, l'arte greca venne esportata sia in Africa che nel vicino oriente, e la scomparsa delle polis in favore dei grandi centri di nuova aggregazione mutò considerevolmente anche la produzione artistica.

I meravigliosi "Corridori", copia romana I secolo a.C., conservati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e provenienti dalla Villa dei Papiri di Ercolano
I meravigliosi "Corridori", copia romana I secolo a.C., conservati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e provenienti dalla Villa dei Papiri di Ercolano

In particolar modo, tutta l'arte greca risentì molto dell'amalgamazione con le altre culture orientali, soprattutto quella persiana, che Alessandro stesso apprezzava.

Il centro culturale si spostò dall'Europa all'Africa, ed nello specifico ad Alessandria d'Egitto, che rimarrà per secoli la capitale della cultura di tutto il bacino mediterraneo.

L'arte quindi muta nella forma ellenistica, e risente fortemente delle contaminazioni asiatiche: vengono gradualmente abbandonati i rigidi canoni dell'assoluta perfezione greca e, accanto ai miti, vengono rappresentati anche personaggi della vita comune: uomini, donne e vecchi, accanto anche a esseri fantastici cominciano ad apparire delle trasposizioni sia scultoree che pittoriche, e alla matematica precisione del canone greco si preferisce una più marcata naturalezza, laddove anche sensualità, comunque una forma molto più espressiva e, a volte, naturalistica.

"Arianna addormentata", copia romana di un originale ellenistico
"Arianna addormentata", copia romana di un originale ellenistico

La raffigurazione realistica dell'ellenismo

Ottimi esempi della produzione ellenica sono la famosa Nike di Samotracia, l'altrettanto famosa Venere di Milo, il Galata morente ed il Laocoonte, importantissima scultura perché fu - con il suo ritrovamento a Roma durante il Rinascimento - la musa ispiratrice di tutto il lavoro di Michelangelo Buonarroti.

Nella scultura, assume un ruolo principe il ritratto, che nell'arte greca era stato sempre particolarmente osteggiato: la raffigurazione realistica raggiunge livelli sublimi e, complice il trasformarsi del concetto stesso di arte (non più solo a carattere pubblico, ma anche commissionato da e per privati), non sono scolpite più solo le teste di re o personaggi famosi, ma anche di committenti privati, facoltosi al punto da poterselo permettere.

"Galata morente", copia romana del I secolo a.C.
"Galata morente", copia romana del I secolo a.C.

In generale, tutta l'arte ellenistica dominerà la scena artistica e culturale per secoli, e neppure la caduta dell'ultima dinastia tolemaica (l'Egitto guidato da Cleopatra) e l'annessione di buona parte dei territori a Roma riuscirà a scalfirne l'ammirazione ed il gradimento della gente, specialmodo nei ricchi patrizi romani, che difatti furono avidi consumatori di tutta la produzione ellenica.

L'arte romana

Nel 47 a.C., con la conquista da parte del generale romano Caio Giulio Cesare, finì l'ultimo regno ellenistico ancora in essere, ossia l'Egitto retto dalla regina Cleopatra.

La Repubblica Romana, ormai una superpotenza in tutto il bacino del Mediterraneo, inglobò nelle sue province pressoché quasi tutti i territori conquistati da Alessandro il Macedone, imponendo la famosa 'pax romana', e lasciando piena autonomia ai governi locali.

L'Anfiteatro Flavio, meglio conosciuto come Colosseo
L'Anfiteatro Flavio, meglio conosciuto come Colosseo

Per la loro storica e ben conosciuta politica di assimilazione e non di distruzione, i romani inglobarono praticamente tutta la cultura ellenistica, sia a livello religioso che artistico.

L'arte romana originaria a noi pervenuta, ovverosia quella rinvenuta e classificata come forma artistica autoctona, risulta abbastanza semplice e dalle forme essenziali, spesso grezze.

Già con la conquista di Siracusa nel 212 a.C. e con lo spoglio di statue ed ornamenti della ricchissima città greca della Trinacria, i romani si dimostrarono fin da subito molto interessati all'arte ellenica, che andò subito a loro particolar genio.

Al contrario dell'arte greca, l'arte romana apprezzava particolarmente i ritratti di consoli, senatori ed imperatori
Al contrario dell'arte greca, l'arte romana apprezzava particolarmente i ritratti su committenza privata

L'inizio del collezionismo romano dell'arte ellenica

La superiorità militare di Roma si era scontrata con la superiorità culturale ellenica, e di ciò se ne accorse anche il celebre Orazio, che difatti fotografò perfettamente la faccenda colla celebre locuzione "Graecia capta ferum victorem cepit" ("La Grecia conquistata conquistò il selvaggio vincitore").

Il grosso handicap culturale con i greci fu paricolarmente sentito e patito dai romani, che dinnanzi alla produzione artistica ellenica si sentirono abbastanza poveri e malmessi; la soluzione pratica fu quella di non competere con ciò che non poteva essere sconfitto, ma di assimilarlo e farlo proprio.

Gli stupendi affreschi di Pompei
Gli stupendi affreschi di Pompei

Cominciò quindi la prima vera forma per così dire 'moderna' di collezionismo, praticato su più livelli dai falcoltosi patrizi di Roma, che portò nell'Urbe quanto più possibile delle bellezze del mondo ellenico.

Al puro collezionismo si affiancò ben presto la produzione originale, coadiuvata anche dal lucroso business delle copie di statue greche famose.

Canto l'armi e l'eroe, che primo dai lidi di Troia, profugo per fato, giunse in Italia alle spiagge di Lavinio, vessato alquanto attraverso terre e in aperto mare da ira divina...

L'arte romana quindi prese a piene mani da quella greca, e ne divenne la continuazione più o meno de facto, però con qualche fondamentale differenza: al contrario della concezione greca, che voleva l'arte fatta dal pubblico e per il pubblico, la concezione romana risultò molto più pratica, non disdegnando una considerevole quantità di produzioni commissionate da privati per privati.

Anche i soggetti raffigurati si discostano spesso in maniera considerevole dalla tradizione greca: sebbene sia sempre presente la raffigurazione del mito e dell'ampio pantheon degli dei greci, i romani preferivano ritrarre fatti concreti, tipo le vittorie di Roma o miti riguardanti la sua fondazione (in realtà di umili origini, e per questo bisognosa d'esser mitizzata).

Gli acquedotti erano una delle opere d'ingegno più mirabili di tutta Roma
Gli acquedotti erano una delle opere d'ingegno più mirabili di tutta Roma

A livello architettonico, l'arte romana raggiunse standard qualitativi eccezionali, alcuni tutt'ora utilizzati: l'uso intensivo dell'arco a tutto sesto permise la realizzazione di strutture tanto imponenti quanto leggere, e lo stadio risulta una delle costruzioni più apprezzate ed amate dalla gente.

Lo costruì Marco Agrippa, figlio di Lucio, nell'anno del suo terzo consolato

La strabiliante architettura romana

Gli incredibili acquedotti lunghi chilometri costruiti in tutta Europa, ancora funzionali, venivano realizzati con pendenze minime, mossi interamente dalla gravità; un uso quindi eccezionale dell'ingegneria idraulica, che si riscontrava anche nella costruzione di ben attrezzate e funzionali terme pubbliche, presenti ovunque nei territori conquistati.

Particolarmente di rilievo fu anche l'edificazione dei templi, anche loro di derivazione greca ed etrusca: gli ordini maggiormente usati furono il corinzio e lo ionico (di esatta derivazione greca) ed il tuscanico, mutuato invece dagli etruschi.

L'Arco di Costantino, eretto dal Senato in omaggio all'ottimo lavoro svolto dall'imperatore
L'Arco di Costantino, eretto dal Senato in omaggio all'ottimo lavoro svolto dall'imperatore

Più o meno la pianta e la concezione totale del tempio romano riprendeva quasi totalmente il suo corrispondente greco con poche eccezioni, tra cui le più influenti visivamente erano podi molto più elevati e una particolare importanza scenica alle facciate, volutamente più sontuose.

Esattamente come nell'uso greco, il tempio era la dimora terrena del dio al quale la struttura era dedicata, ma al contrario della cultura ellenistica, i romani concepivano il luogo anche come parte integrante della vita sociale pubblica; pertanto, non era raro vederlo usato come luogo di ritrovo per importanti questioni politiche, come ad esempio le riunioni del Senato.

Patheon
Il più famoso dei templi romani rimasto ancora praticamente intatto dopo quasi 2000 anni: il Patheon, oggi basilica di sSanta Maria ad Martyres. In questa fantastica costruzione riposano oggi le spoglie mortali di Raffaello Sanzio, Annibale Carracci, o Baldassarre Peruzzi, Arcangelo Corelli nonché le tombe dei re Vittorio Emanuele II e suo figlio Umberto I

Un ottimo esempio di un grande tempio monumentale non armonico è il famoso Pantheon di Roma: una struttura in cui l'arte greca è stata fusa con il senso pratico romano, costruendo di fatto il primo luogo religioso multiculturale della storia.

Il pantheon greco

L'antica religione greca è estremamente complessa ed incredibilmente articolata, come poche altre fedi della storia umana.

I greci usavano dare un significato divino a pressoché ogni fenomeno fisico, e questo ha generato, nel corso dei secoli, una ricchissima varietà di dei maggiori, dei minori, semidei e creature leggendarie varie.

Tutto questo incredibilmente consistente universo ci è giunto a noi quasi esclusivamente con il mito, ovverosia con i racconti per l'appunto mitologici che vedevano protagonisti uomini e dei.

La concezione di 'dio' per gli antichi greci era però abbastanza differente da quella che si è soliti credere, almeno dalle ricostruzioni cinematografiche e dalle opere d'arte che noi tutti abbiamo visionato sin da bambini: per gli antichi popoli greci, un dio non era un essere fisico come lo è l'uomo, ma piuttosto era una potenza che governava dei settori della natura specifici, e che poteva - a suo piacere - trasformarsi e prendere la forma che più gli fantasticava.

Il Patheon greco

Tenendo a mente questo concetto, è logico pensare che tutti gli dei erano immortali ed eternamente giovani: un po' come l'energia, che non ha un'unica manifestazione ma che è, sempre nella stessa quantità, presente ovunque nell'universo, sotto differenti forme.

Del variegatissimo pantheon di divinità greche, dodici di loro erano particolarmente importanti, ed erano chiamati Olimpi, poiché vivevano per l'appunto sul monte Olimpo.

Altri dei, come il dio della morte Ade, pur essendo egualmente importanti non avevano la loro dimora nell'Olimpo.

La cosa affascinante è che gli dei, per quanto potenti, immortali ed eterni, avevano comunque bisogno dei sacrifici degli uomini per mantenere il loro contatto con il mondo terreno; d'altra parte, gli uomini avevano bisogno della protezione degli dei per non finire malissimo per via di qualche disastro naturale, guerra od epidemia (tutte cose piuttosto frequenti nella storia umana).

Ancor più soprendentemente, gli dei spesso e volentieri s'invaghivano ed innamoravano degli esseri umani, con i quali potevano unirsi carnalmente e persino concepire: un figlio nato dall'unione con un dio era chiamato semidio, quasi sempre mortale ma che solitamente aveva caratteristiche fisiche o d'intelligenza eccezionali, che gli consentivano di compiere imprese impossibili per gli altri uomini.

Quando proprio un dio od una dea s'invaghiva follemente di un essere umano, oppure ne apprezzava a dismisura le qualità eroiche, poteva anche concedergli il dono dell'immortalità, facendolo essenzialmente divenire anch'esso un dio.

Sia gli dei che gli uomini avevano comunque un'origine comune, sebbene indiretta: il Chaos, ossia l'entità primordiale che generò Gea, la terra.

Dopo che Roma conquistò la Grecia e le sue colonie, assorbì totalmente anche la sua cultura e la sua religione, e quindi gli dei romani vennero più o meno soppiantati da quelli greci: laddove possibile, vennero accoppiate le divinità a loro similari, per caratteristiche e, diciamo così, 'sfera d'azione'.

Questo è il motivo per cui molti nomi greci delle divinità sono più famosi con il loro appellativo latino (tipo Zeus/Giove o Poseidone/Nettuno): la loro storia è però quasi sempre la medesima, così come il loro potere e carattere.

Andiamo dunque a scoprire assieme i principali dei del pantheon greco:

Gea
Gea

La madre di tutti gli dei, generatasi spontaneamente da Chaos.
Essenzialmente, è il pianeta Terra, sul quale vivono uomini e dei.
Gea a sua volta generò da sola Urano, ossia il cielo stellato.
Con suo figlio si accoppiò e generò la prima generazione di dei, chiamati i Titani: Oceano, Iperione, Ceo, Crio, Giapeto, Mnemosine, Crono, Rea, Teti, Teia, Febe, Temi.
Sempre con Urano generò anche i tremendi Ecatonchiri, mostruosi giganti con cento braccia e cinquanta teste ciascuno e i Ciclopi, anch'essi enormi esseri con un solo occhio cadauno.

Urano
Urano

Il dio del cielo stellato, figlio di Gea e al contempo suo amante.
Assieme alla madre generò i Titani, gli Ecatonchiri ed i Ciclopi, ed era così terrorizzato dall'idea di essere spodestato da uno dei suoi fortissimi figli che impediva loro di venire alla luce, confinandoli nell'oscuro Tartaro, ovverosia nelle viscere di Gea.
Sofferente per la sorte dei propri figli, Gea costruì con la sua stessa essenza un falcetto divino, e lo diede a Crono, che riuscì con esso ad evirare il padre, spodestandolo dal trono e liberando anche i suoi fratelli.
Il membro di Urano reciso cadde nel Mediterraneo, e da esso nacque Afrodite, ossia Venere.

Crono
Crono (Saturno)

Il titano figlio di Gea ed Urano, che spodestò il padre dopo averlo evirato.
Dio associato allo scorrere del tempo, alla fertilità e all'agricoltura (non a caso, tiene sempre in mano un falcetto), è il padre di Zeus, Poseidone, Ade, Era, Estia e Demetra, generati con la sorella Rea.
Per evitare d'incappare nella stessa fine che riservò a suo padre, decise dunque di fagocitare interi i suoi figlioli alla nascita, ma Rea riuscì a salvare il più piccino, ovverosia Zeus, ingannando il marito e dandogli da mangiare al suo posto una pietra.
Cresciuto, Zeus mosse guerra al padre, che riuscì a sconfiggere dopo un'aspra battaglia (la Titanomachia), salvando anche la vita ai suoi fratelli, obbligando il titano a vomitarli.
Il corrispettivo di Crono nel pantheon romano è Saturno.

Zeus
Zeus (Giove)

Il signore di tutti gli dei, figlio di Crono e Rea, divenuto re incontrastato dopo la Titanomachia, quando spodestò il padre dal trono.
Domina sia gli dei che gli uomini, ed è uno degli Olimpi, avendo scelto come residenza proprio l'alto monte Olimpo.
Sposato con sua sorella Era, è chiamato anche il 'padre degli dei' non solo per la sua funzione di guida, ma anche per aver dato vita ad un'enorme progenie, accoppiandosi senza freni sia con altre dee che con le umane.
Spesso s'infatuava anche di giovinetti, come nel caso di Ganimede.
Tra i suoi figli più famosi ci sono Apollo, Artemide, Ermes, Atena, Ares, Eracle e Perseo.
Dopo la caduta del padre si spartì il mondo tirando a sorte con i suoi due fratelli, Poseidone ed Ade: a Zeus andarono i cieli, a Poseidone i mari e ad Ade il regno dei morti.
Dio dal culto particolarmente importante nel pantheon greco e romano, aveva autorità su molti aspetti della vita e della natura, a cominciare dai fulmini (iconiche sono le sue rappresentazioni mentre inforca le saette), ma era anche il protettore del focolare, degli ospiti e, più in generale, di tutto il suo regno.
Innumerevoli le sue scappatelle extraconiugali e le sue amanti, sia mortali che divine, così come innumerevoli erano le strategie e le tecniche usate dal dio per sedurre sempre nuove giovani.

Era
Era (Giunone)

Sorella ed al contempo moglie di Zeus, figlia come lui di Crono e Rea.
Appena nata, come tutti gli altri suoi fratellini, fu divorata viva dal padre, che considerava tutti i suoi figli potenziali minacce per il suo regno.
Fu salvata da Zeus, che riuscì a far sputare via a Crono tutti i suoi fratelli.
Dea dalla vastissima autorità e chiamata 'madre degli dei' per il suo matrimonio con Zeus, potreggeva per l'appunto l'unione coniugale, il parto e anche le madrie delle giumente.
Il suo animale simbolo era il pavone, sebbene anche la vacca fosse spesso associata alla dea.
Abbastanza irascibile e vendicativa, soprattutto nei confronti dell'infedele marito e dei suoi innumerevoli figliastri, è celebre il suo odio per Eracle, che la dea tormentò per tutta la sua esistenza terrena come simbolo vivente dell'infedeltà di Zeus.
Il suo corrispettivo nel pantheon romano è Giunone, che ne ricalca totalmente autorità, storia e poteri.

Ermes
Ermes (Mercurio)

Il messaggero degli dei, ovverosia il dio incaricato di mediare tra gli uomini e le divinità, e per questo considerato essenziale per una perfetta armonia col creato.
Figlio di Zeus ed Era, sin da piccino si dimostrò estremamente furbo e malizioso, rubando addirittura una grande mandria di buoi al fratello Apollo; l'indole acuta e un po' lestofante della divinità hanno spesso associato la sua autorità anche sui ladri, da cui era spesso adorato.
Inconfondibile il suo aspetto: i sandali alati che gli permettevano di volare a grandi velocità, l'elmo, una borsa sempre a tracolla (recante i messaggi divini) e, sopratutto, il mano il Caduceo, ovverosia il bastone serpentato divenuto poi simbolo della farmacologia, in quanto rappresentante la salute e l'ordine e l'equilibrio (sia spirituale che fisico).
Il suo corrispondente nella religione romana è Mercurio, antica divinità etrusca pressoché simile, per autorità e culto, a quella di Ermes.

Atena
Pallade Atena (Minerva)

La dea delle arti, della sapienza e dell'arte militare, amatissima in tutta la Grecia ed in particolar modo ad Atene, città che porta per l'appunto il suo nome.
La sua nascita è bizzarra: un giorno, Zeus ebbe un fortissimo mal di testa, talmente acuto da provocargli dolori lancinanti.
Non avendo a disposizione un analgesico, per risolvere la questione il più rapidamente possibile chiamò il fabbro divino, Efesto, e si fece fracassare la testa con una martellata.
Dalla ferita, uscì Atena già adulta ed in armi.
Dea tanto potente e saggia quanto vendicativa con chi la offendeva, come Ermes la sua iconografia è facilmente identificabile: è sempre rappresentata vestita da guerra, con l'elmo, la lancia e lo scudo, su cui è applicata la testa di Medusa, per gentile regalo di Perseo.
Molto spesso, nella sua mano libera dalla lancia tiene la miniatura di Nike, la dea alata della vittoria.
L'appellativo "Pallade Atena" (Παλλάς Αθηνά) è conseguenza di un fattaccio che accadde alla dea da piccolina, mentre giocava con la sua amichetta mortale Pallade: simulando un combattimento, purtroppo la dea uccise la fanciulla, ed il rimorso di tale gesto fu talmente grande che, per espiare la colpa, decise d'aggiungere Pallade al suo nome.
L'equivalente di Atena nel mondo romano era Minerva.

Ares
Ares (Marte)

Il dio della guerra, intesa come atto violento e come perenne sete di sangue.
Figlio di Zeus ed Era, la sua autorità s'opponeva totalmente a quella di Atena: se per la benevola dea la guerra era una risposta dovuta all'invasione (quindi, una necessaria auto-difesa), Ares pontificava su tutto ciò che scatenava gli istinti più violenti dell'uomo, la cui guerra era solo il culmine per antonomasia.
Dio spietato, truce e barbaro, nacque fratello gemello di Eris, la dea della discordia che causò la guerra di Troia.
Abbastanza inviso anche agli stessi dei Olimpi, tra i suoi figli più famosi troviamo Deimos e Fobos, ovvero il terrore e la paura, concepiti con una scappatella con la bellissima e libertina Afrodite.
Per i romani, Ares era Marte, anch'esso signore della guerra e della devastazione.
Marte gioca un ruolo essenziale nella mitologia romana, in quanto padre dei gemelli fondatori di Roma, ovverosia Romolo e Remo, concepiti con la vestale Rea Silvia.
L'iconografia classica di Ares/Marte lo vede raffigurato sempre in armi, con il tipico elmo oplita (o romano), scudo e lancia.

Demetra
Demetra (Cerere)

Figlia di Crono e Rea e pertanto sorella di Zeus, salvata da lui - come tutti gli altri suoi fratelli - dallo stomaco del padre.
Era la dea che governava sulla natura, sullo scorrere delle stagioni, sull'agricoltura e, compito condiviso con Era, del matrimonio.
Considerata l'importanza estrema della sua autorità, specie per delle società prattamente agricole come quelle antiche, il suo culto era diffuso ovunque nei territori colonizzati dai greci.
Il mito del rapimento della sua diletta figlia Persefone da parte di Ade è uno dei più famosi di tutta la mitologia greca.
Presso i romani il suo corrispettivo era Cerere, a cui Demetra è quasi subito assimilata dopo la conquista romana della Grecia.

Dioniso
Dioniso (Bacco)

Il dio dell'estasi, del piacere puro, del vino e dell'ebbrezza, nato dall'ennesima relazione extra-coniugale di Zeus con la mortale Semèle, che concupì sotto finte sembianze umane.
Su infingardo suggerimento della gelosa Era, Semèle, già incinta di Dioniso, chiese a Zeus di rivelarsi nella sua forma originaria, venendo in questo modo incenerita dallo splendore del dio.
Il suo feto però miracolosamente sopravvisse, ed allora Zeus decise di cucirselo dentro una coscia, per permettere a suo figlio di finire la gestazione.
Solitamente l'accoppiata uomo-dio dava come risultato un semidio mortale, ma nel caso di Dioniso ciò generò invece un dio puro.
Dioniso era una divinità mezza pazza, e la sua autorità andava ben oltre quella della semplice vendemmia e del relativo vino, ma si spingeva là dove persino Eros non poteva arrivare: l'inebriatezza dei sensi, il superare ogni freno inibitore per darsi al piacere più puro.
Il suo corrispettivo nella mitologia romana era Bacco, e la sua iconografia è inconfondibile: coppa di vino in mano, capo ornato con foglie di vite ed uva.

Afrodite
Afrodite (Venere)

La dea dell'amore, della bellezza e della fertilità.
Figlia di Urano, o per meglio dire del membro di Urano che, reciso da Crono, cadde nel Mediterraneo e, al contatto con la spuma del mare, si trasformò nella bellissima dea.
Considerata senza dubbio la più bella di tutto il considerevole parco femminile del pantheon greco, era la dea più bramata e desiderata di tutto l'Olimpo, ma finì per andare in sposa - forzatamente - al deforme Efesto.
Tale matrimonio combinato, reso necessario per liberare Era dalla trappola di Efesto, alla dea non piacque per niente, e difatti i tradimenti extraconiugali divennero la regola nella coppia.
Madre di Eros, di Ermafrodito, di Priapo e di Enea (giusto per citarne qualcuno famoso), la sua controparte romana era Venere, a cui la divinità greca venne ben presto assimilata.

Efesto
Efesto (Vulcano)

Deforme e bruttissimo dio del fuoco, della metallurgia, della scultura e delle arti dell'officina in generale.
Figlio di Zeus ed Era, la sua nascita non fu molto gradita alla madre, che di altri figli con l'infedele marito proprio non voleva saperne.
In aggiunta a ciò, datosi che il neonato purtroppo non era particolarmente bello, la mamma appena lo vide fu presa dal disgusto, e lo scaraventò giù dal monte Olimpo.
Lo sfortunato Efesto cadde per giorni e giorni dall'alto monte, fino a che non si sfracellò nel mare, sfracellandosi una gambina che rimase zoppa per sempre.
Fortunatamente salvato ed accudito dalle Nereidi, le dee dell'oceano gli allestirono una grotta come riparo, che si trasformò poi nella sua prima fucina.
Cresciuto con la passione della metallurgia e della meccanica, in cui divenne un grande esperto, tornò all'Olimpo con l'intenzione di vendicarsi della sciagurata madre che tentò d'accopparlo, e per essa costruì un bellissimo trono dorato che in realtà era una sofisticatissima trappola.
Per liberare Era dalla prigionia del trono, Efesto chiese a Zeus di dargli in moglie, beffardamente a lui che era così brutto, la più bella delle dee, ossia Afrodite.
Il matrimonio comunque durò ben poco: Afrodite fu costretta a sposarlo, ma non ad essergli fedele. Così, dopo una serie infinita di tradimenti, Efesto si stancò e se ne tornò alla sua officina nell'Etna, a fabbricare armature, automi e ogni genere di diavoleria meccania, la sua vera gioia della sua triste vita.
Le folgori di Zeus erano fabbricate proprio da Efesto e dai suoi aiutanti.
Il corrispondente del dio nel pantheon romano è Vulcano.

Apollo
Apollo (Febo)

Spendido dio delle arti, della musica, della poesia e delle arti mediche in generale, è anche la divinità che è incaricata di trascinare il carro del sole per tutta la volta del cielo.
Nato dall'unione di Zeus con la bella Latona, Apollo è il fratello gemello di Artemide, la bella vergine cacciatrice.
Divinità tra le più importanti in tutto il pantheon greco, a lui erano dedicati moltissimi templi ed oracoli, il più famoso tra tutti collocato presso Delfi.
Protettore delle arti, con particolare riguardo verso la musica e la poesia, era il padre di Asclepio, il più grande medico dell'antichità: non a caso l'appellativo di "Apollo Medico" era largamente usato in tutta la Grecia, ed era a lui che i neo-medici giuravano nell'antico 'Giuramento d'Ippocrate'.
Non esisteva un suo corrispondente nelle divinità romane, e difatti il suo culto fu importato direttamente dopo la conquista latina della grecia.

Artemide
Artemide (Diana)

Sorella gemella di Apollo, era la fiera vergine cacciatrice, protettrice per l'appunto della caccia, delle foreste, degli animali selvatici ed anche del tiro con l'arco.
Dea abbastanza violenta e vendicativa oltre ogni limite, il mito vuole che ella stessa chiese al padre Zeus di poter restare per sempre vergine, concedendosi solo all'adorata caccia e alla vita libera per i boschi e le foreste.
Il suo corrispondente romano era Diana, e le due divinità, all'inizio dissociate, furono poi fuse insieme.

Poseidone
Poseidone (Nettuno)

Il signore assoluto dei mari, fratello di Zeus e figlio di Crono e Rea.
Salvato anche lui dalle fauci del padre, assieme ai due fratelli, Zeus ed Ade, tirò a sorte per spartirsi i tre regni del creato, ed a lui toccò quello marino.
Divinità importantissima, in quanto responsabile del buon esito delle navigazioni e causa principale di terremoti e maremoti, sempre visti come un segno inequivocabile dell'adirazione del dio.
D'importanza regale pari a quella del fratello Zeus, il suo culto era diffuso in ogni parte delle colonie greche, era un dio decisamente irrascibile e vendicativo: ne sa qualcosa il povero Odisseo, che fu a lungo perseguitato da Poseidone durante il suo travagliato ritorno ad Itaca dopo la guerra di Troia.
Il corrispondente nella religione romana è Nettuno, a cui Poseidone fu poi fuso come con quasi tutti gli altri dei greci.
La sua iconografia è classica e famosa: un uomo robusto con barba e capelli lunghi ed incolti, che brandisce un tridente, simbolo del suo potere sui mari.

Ade
Ade (Plutone)

Il signore del regno dei morti, l'Averno, chiamato anche Ade per antonomasia.
Fratello di Zeus e Poseidone, si spartì con i suoi germani i tre regni del creato, toccandogli in sorte quello dei morti.
Dio abbastanza schivo, benché di importanza e regalità non inferiore ai fratelli Zeus e Poseidone non risiedeva direttamente nell'Olimpo, preferendo restare nel suo regno ultraterreno, e prestando quindi ben poca importanza ai fatti ed alle beghe degli altri suoi simili.
Sebbene governasse in un ruolo non propriamente desiderabile, eseguiva il suo compito con efficacia e lucidità: non è infatti mai rappresentato come entità malvagia, ed anzi in tutto il suo mito non c'è quasi mai traccia di cattiveria, meschinità ed atti di prepotenza verso gli uomini (cosa invece molto comune a tutti gli altri dei).
Caratteristica ricorrente dell'iconografia del dio è il suo elmo magico, forgiato dai Ciclopi (il Kunée) che garantiva l'invisibilità una volta abbassato sul viso.
Ade non aveva un culto molto diffuso, e gran parte della sua storia è derivata dai miti, in special modo quello famosissimo del rapimento della sua sposa, Proserpina.
Il corrispondente di Ade nella mitologia romana era Plutone.

Prometeo
Prometeo

Il titano figlio di Giapeto e Climene, anche se la maternità cambia a seconda delle fonti del mito.
Il suo nome vuol dire 'colui che riflette prima', e ben si sposa con la sua grande intelligernza e furbizia.
Fratello dello stolto Epimeteo ('colui che riflette in ritardo'), nella grande battaglia di Zeus ed i suoi fratelli contro i titali si schierò a favore del futuro signore dell'Olimpo, e quindi gli fu risparmiata la prigionia nel Tartaro.
Prometeo è il padre degli esseri umani, che costruì plasmandoli dall'argilla, infondendo loro la vita grazie alla fiamma divina.
Sempre benevolo e premuroso con le sue creature, salvò gli uomini dalla furia di Zeus che voleva sterminarli considerandoli pericolosi e venne severamente punito per aver rubato il fuoco dell'Olimpo per donarlo all'umanità.

Semidei ed eroi

La storia dell'arte greca, ellenistica e romana non è fatta solo di rappresentazioni di stizzosi, irascibili e capricciosi dei immortali: è fatta principalmente da eroi mortali, che con le loro gesta hanno contribuito a costruire quel bacino infinito di risorse che è la mitologia classica.
Scaltri, coraggiosi, molto spesso violenti e ben poco curanti dei canoni etici a cui siamo abituati noi oggigiorno, gli eroi greci combattevano essenzialmente tutti una battaglia quasi impossibile da vincere: sfidare il filo del fato, per guadagnare onori e gloria.
È doveroso far notare che l'onore e la gloria, in un periodo in cui la gente difficilmente riusciva a mettere assieme due pasti decenti al giorno, erano concetti che andavano ben al di là della mera esistenza terrena: ottenerli era l'unico modo per compararsi all'immortalità degli dei, e quindi unica, vera arma per battersi alla pari con loro.

Datosi che, come precedentemente accennato, gli dei e gli uomini potevano accoppiarsi carnalmente tra di loro (volendo, anche in forme animalesche), dalle unioni nascevano spesso bambini.
Questi erano chiamati semidei, e nella stragrande maggioranza dei casi erano mortali, seppur con caratteristiche fisiche ed intellettive sopra la media degli altri uomini.
Non mancavano comunque casi di nascite di immortali (quindi, altri dei), come nel caso di Dioniso.
Quella che segue è una lista dei principali eroi greci, di particolare interesse perché ritratti sovente nelle rappresentazioni artistiche:

Eracle
Eracle (Ercole)

L'eroe greco più famoso, il campione invincibile figlio di Zeus e della regina Alcmena, dotato di un fisico enorme e di una forza sovraumana.
Unico figlio a cui Zeus abbia mai veramente tenuto (il signore degli dei solitamente non si curava dei tanti figli avuti, immortali o no), il padre lo prese subito a benvolere appena nato, facendolo di nascosto poppare il latte da sua moglie Era.
La divina poppata aumentò ancora di più la forza del piccino, che già lattante riuscì a strangolare a mani nude due pitoni infriltrati nella sua culla, gentile pensierino della vendicativa Era.
Una volta cresciuto, furono innumerevoli le avventure che dovette affrontare: famosissime sono le sue dodici fatiche al servizio (forzato) di suo cugino Euristeo, come altrettanto famoso è il suo mito durante la Gigantomachia, quando si schierò dalla parte di suo padre e degli Olimpi per respingere l'attacco dei tremendi giganti.
Dal carattere generoso e buono quanto però violento ed irascibile, Eracle soffrì sempre di attacchi d'isterismo che gli fecero commettere delitti spesso orribili, che lo costrinsero sempre a faticose penitenze.
Morì per l'astuta vendetta del centauro Nesso, che l'eroe ferì mortalmente con una delle sue frecce avvelenate col sangue dell'Idra di Lerna.
In realtà di lui morì solo la parte mortale, che scese come ombra nell'ade; Zeus prelevò la sua parte divina e lo fece ascendere all'Olimpo, dandogli in sposa la bella Ebe, la dea della giovinezza e coppiera degli dei.
L'iconografia di Eracle è inconfondibile: l'eroe è sempre ritratto o scolpito di enorme statura e con grandi e possenti muscoli, con la barba ed i capelli riccioluti e l'inseparabile clava, unita all'altrettanto inseparabile pelle del leone di Nemea, usata come mantello.

Perseo
Perseo

Figlio di Zeus e Danae, è il famosissimo eroe che uccise la tremenda gorgona Medusa: un mostro micidiale, capace di pietrificare qualsiasi essere vivente con il solo sguardo.
Nipote del paranoico Acrisio, re di Argo, fu condannato al morte dal nonno, che schiaffò lui neonato e la mamma in una bara, dandola in pasto ai flutti del mare per scongiurare l'avverarsi di una profezia a lui nefasta.
Il piccino riuscì a salvarsi e a crescere sull'isola di Serifo, diventando un bel giovinetto, ospitato assieme alla mamma dal re del posto, Polidette.
Esso era però desideroso di sposare Danae e, per levarsi di torno l'invadente Perseo, escogitò un piano per allontanarlo definitivamente: finse di voler celebrare le nozze con una certa Ippodamia, e pretese come regalo un cavallo per ognuno degli invitati allo sposalizio.
Perseo, che non aveva nulla, fu ben felice di proporre al re qualsiasi cosa avesse richiesto, a patto che avesse lasciato libera la sua mamma dalle avanches non gradite.
Polidette non ci pensò su due volte, e gli chiese come regalo la testa di Medusa.
Nella sua impresa, Perseo fu aiutato da Ermes ed Atena, che gli prestarono l'Harpe Falcata (un falcetto di diamante), i sandali alati ed il Kunée di Ade, che garantiva l'invisibilità una volta indossato.
Con questi aiuti e con un grande ingegno, Perseo riuscì a staccare la testa alla tremenda gorgona, stando ben attento a non fissarla mai in volto direttamente ma a mirarla attraverso il riflesso del suo scudo.
Nel viaggio di ritorno, salvò la bellissima principessa dell'Etiopia Andromeda dal sacrificio a favore di un tremendo mostro marino, e ne divenne quindi lo sposo.
Tornato da Polidette con il trofeo, lo mostrò al crudele re, pietrificandolo e quindi facendosi giustizia.
Donò poi la testa di Medusa ad Atena, che la mise sull'Egida, il suo formidabile scudo che da quel momento divenne capace di pietrificare i nemici.
Alla loro morte, Zeus fece diventare Perseo ed Andromeda due costellazioni, ad imperitura memoria della loro leggenda.
L'inconografia di Perseo è un classico: tiene sempre in mano la spada (od il falcetto) e nell'altra mano solleva la testa di Medusa, recisa.
In testa indossa l'elmo di Ade, ed ai piedi i sandali alati di Ermes.
Sovente, specie nelle opere pittoriche, è accompagnato dal cavallo alato Pegaso, fuoriuscito dal collo di Medusa e figlio di lei e Poseidone.

Giasone
Giasone

Figlio di Esone e Alcimede, fu salvato dalla morte ancora in fasce dalla coraggiosa madre, che s'oppose - al prezzo della vita - al crudele Pelia, fratellastro del padre di Giasone ed usurpatore del trono di Iolco.
Preso il potere, Pelia ricevette però la profezia di un oracolo, che lo avvertiva di stare in guardia dall'incontro con un uomo con un solo sandalo, perché questi lo avrebbe di certo spodestato.
Cresciuto, Giasone si recò a Iolco per pretendere giustamente il suo trono, ma durante il viaggio perse uno dei suoi sandali, nel tentativo di salvare una vecchietta (in realtà Era) dall'affogamento nel fiume Anauro.
Pelia, messo in guardia dall'oracolo, disse a Giasone che gli avrebbe volentieri ridato il regno, a patto però che il giovane gli avesse portato il famoso Vello d'Oro, custodito nella Colchide.
La missione era quasi disperata, poiché la Colchide (l'odierna Georgia) era un paese lontanissimo per l'epoca, quasi ai confini del mondo allora conosciuto.
Ciò nonostante, Giasone radunò un folto numero di atleti ed eroi greci, gli Argonauti, e partì verso la Colchide su Argo, una delle prime navi di una certa dimensione costruite dall'uomo.
Tra gli Argonauti ve n'erano alcuni di molto famosi: Eracle, Peleo, Orfeo, Castore e Polluce.
Dopo un incredibile viaggio pieno di peripezie, superando i Dardanelli, il Bosforo e tutto il Mar Nero, Giasone e gli Argonauti riusciranno ad arrivare nella Colchide, dove l'eroe a capo della spedizione s'innamorerà, ricambiato, di Medea, la figlia del re Eeto.
Questa lo aiuterà a recuperare il mitico vello, arrivando persino ad uccidere il fratellino per aiutare l'amante.
Tornato a Iolco, Giasone ucciderà Pelia, e sarà mandato in esilio dal figlio di quest'ultimo, Acasto, nella prosperosa Corinto.
Qui ripudierà Medea per sposarsi con Glauce, la figlia del re del posto Creonte, attratto dalla ricchezza della città e desideroso di diventarne in futuro il re.
Medea però si vendicherà terribilmente, uccidendo Glauce e tutti i figli avuti da Giasone.
In seguito, con l'aiuto del papà di Achille, l'ex Argonauta Peleo, riconquistò il trono di Iolco, spodestando Acasto.
Il suo tradimento ai danni di Medea gli costò però la disgrazia agli occhi di Era: morì infatti in solitudine mentre dormiva, schiacciato dal cedimento della vecchia nave Argo, ormai abbandonata.
Morire soli e nel sonno, dimenticati da tutti era una delle cose che gli antichi greci consideravano disonorevoli per qualsiasi essere umano: questa fu la punizione degli dei per Giasone.
Ritrovermo la sua anima all'Inferno, all'ottavo cerchio (le Malebolgie), nella prima bolgia dove sono puniti gli adulatori ed i seduttori.
Al contrario degli altri dannati, che piangono e si lamentano sotto le tremende frustate dei demoni, Giasone non batte ciglio, rimanendo inflessibile e fiero anche in tale situazione.
L'iconografia dell'eroe è quella classica: elmo, spada e Vello d'Oro portato a braccio o a spalla.

Teseo
Teseo

Leggendario figlio di Egeo ed Etra, re d'Atene e tra i più famosi eroi di tutta la Grecia.
La sua nascita è avvolta da un dubbio che in parte può spiegare le sue qualità fisiche straordinarie, ben superiori a quelle di un semplice uomo: la stessa notte nella quale fu concepito, Etra si unì carnalmente anche a Poseidone, e quindi l'eroe sarebbe figlio un po' di Egeo ed un po' del dio dei mari.
Non essendo ancora pronto un valido test del DNA, comunque, la paternità fu attribuita ad Egeo senza ulteriori indagini.
Teseo crebbe a Trezene, assieme alla mamma e al nonno, il re Pitteo; quando fu sufficientemente grande, decise d'andare a conoscere il papà Egeo, il re d'Atene.
Intraprese quindi un lungo e pericoloso viaggio, in cui uccise molti briganti e mostri che tormentavano la gente del luogo, tra cui i feroci banditi Perifete e Sini.
Arrivato ad Atene, trovò però una bella sorpresa: suo padre Egeo aveva contratto nozze con la furba e spietata Medea che, ripresasi dall'angoscia di esser stata mollata da Giasone, s'era rifatta una vita agiata come regina di una delle città più ricche della Grecia.
Medea lo mandò a catturare il feroce toro di Maratona con la speranza che il tauride l'accoppasse, ma fu un vano tentativo: Teseo ritornò vincitore.
Medea tentò allora d'avvelenarlo, ma fu salvato per tempo proprio da Egeo, che lo riconobbe dai sandali e dalla spada che egli stesso aveva lasciato a Trezene per il proprio figliolo, anni prima.
Datosi che durante alcuni giochi degli ateniesi avevano ucciso Androgeo, il figlio del re di Creta Minosse, quest'ultimo aveva inflitto alla città un pesante dazio: ogni nove anni, sette fanciulle e sette fanciulle ateniesi dovevano essere deportati a Creta, per essere dati in pasto al feroce Minotauro.
Quando Teseo lo venne a sapere, decise spontaneamente di mescolarsi tra i sette ragazzi condannati, e partì quindi per Creta, con l'intenzione d'accoppare il Minotauro e liberare la propria città dall'orribile tributo di vite.
La missione sarebbe stata sicuramente suicida se la bella Arianna, figlia di Minosse, non si fosse mossa a compassione e, innamoratasi di lui, lo aiutò ad uccidere il fratellastro, fornendogli il famoso filo con cui l'eroe riuscì ad uscire dal labirinto costruito da Dedalo.
Sulla via del ritorno, per ringraziare Arianna per tutto l'aiuto datogli, Teseo l'abbandonò mentre ancora dormiva sull'isola di Nasso, svignandosela in sordina peggio del peggior ladro: questa leggenda ha dato peraltro origine al popolare modo di dire 'piantato in Nasso', che si usa per indicare un improvviso e poco opportuno abbandono.
Teseo aveva concordato col padre, ovviamente in ansia per la missione del figliolo, un escamotage per dare la notizia del suo trionfo o della sua morte: se la sua barca fosse tornata ad Atene con le vele nere, avrebbe significato disfatta; se invece fosse tornata issando vele bianche, avrebbe voluto dire vittoria, e vita quindi salva.
Purtroppo però Teseo si scordò di far levare le vele neve alla nave e così Egeo, che da quando era partito il figlio se ne stava tutti i giorni in punta ad uno dirupo a mirare il mare nel tentativo di avvistare la nave con buone nuove, quando vide le vele nere fu preso dal grande dolore e sconforto, e decise così di porre fine alle sue sofferenze sfracellandosi nel mare.
Da quel giorno, quel tratto del Mar Mediterraneo si chiama per l'appunto Mar Egeo.
L'iconografia di Teseo è molto varia: viene solitamente raffigurato in armi, e spesso la sua figura è accostata a quella del Minotauro, che sta uccidendo.

Achille
Achille

Il campione degli Achei, il fortissimo semidio figlio di Peleo e della ninfa Tetide.
Appena nato, la mamma pensò bene di renderlo invulnerabile, e ne cosparse il corpo di ambrosia (il cibo divino degli dei), dandogli poi fuoco: le parti mortali sarebbero quindi bruciate rendendolo immortale, ma il padre Peleo, ignaro del rituale, inorridito urlò vedendo il piccino tral e fiamme.
Teti si spaventò, gettò il bimbo a terra e s'immerse nel mare, non tornando mai più.
Il rituale così non fu completato, ed il corpo di Achille diventò invulnerabile ad eccezione dell'osso del tallone che, rimasto mortale, rimase danneggiato.
Allora Peleo, con l'aiuto del centauro Chirone, sostituì l'astragalo del figliolo con quello del gigante Damiso, morto di recente e famoso per essere stato, in vita, la creatura più veloce del mondo.
Dopo il trapianto, Achille acquistò quindi la velocità di Damiso, divenendo a sua volta l'essere più veloce esistente, e chiamato perciò 'piè veloce'.
Secondo altre versioni, la sua invulnerabilità proveniva da un rituale differente: la mamma Tetide lo immerse, appena nato, nelle acque del fiume Stige, tenendolo però per il tallone, che non si bagnò e rimase quindi vulnerabile.
Quale che sia stata la verità, Achille crebbe con un fisico eccezionale, e partecipò ben volentieri alla missione degli Achei contro Priamo a Troia, portandosi appresso i suoi Mirmidoni.
Durante la guerra fu lo spauracchio dei nemici, ed Omero ci racconta che proprio la sua violenta litigata con Agamennone nell'ultimo anno di guerra (la famosa 'ira funesta') creò non pochi problemi ai greci, datosi che, adirato, l'eroe si rifiutò di scendere più in campo.
Cambierà idea dopo che Ettore avrà ucciso il suo amante Patroclo, ed ingaggerà un violentissimo scontro con l'eroe troiano, dal quale risulterà vincitore.
Morirà per mano di Paride, che trafiggerà con uno strale la sua unica parte vulnerabile, il tallone.
In tutta la guerra di Troia, sono 77 le morti accertate per mano di Achille: questo lo rende l'eroe greco con più uccisioni nel suo pallottoliere.
Una volta morto, finirà come tutti gli altri nell'ade, dove intrallazzerà una relazione amorosa con Elena.
Veniamo a sapere da Dante Alighieri che la sua anima sarà condannata alla tremenda tempesta eterna nel primo girone dell'Inferno, dove i peccatori carnali vengono puniti.
La sua iconografia è variegata: raffiguratissimo in ogni epoca, viene sempre ritratto in armi, laddove con l'armatura da oplita, laddove con la più classica armatura romana.

L'arte paleocristiana

Con l'editto di Milano del 313 d.C., i due imperatori di Roma, Costantino e Licinio, fecero definitivamente uscire la religione cristiana dall'illegalità, ponendo fine a secoli di rappresaglie e persecuzioni.

Dopo aver sconfitto Massenzio il 28 ottobre 312 nella storica battaglia di Ponte Milvio, Costantino si convertì totalmente alla religione Cristiana, molto probabilmente per puri motivi d'interesse: molti suoi generali e un grande numero di soldati erano cristiani, così come sua madre Elena (fervente devota del Cristo e del suo mito).

Il Cristo rappresentato come un agnello
Il Cristo rappresentato come un agnello

Di lì a poco, la nuova religione sarebbe divenuta l'unica ufficiale ed obbligatoria per tutto l'impero, grazie al grande (e spesso, feroce) lavoro di Teodosio I, ultimo imperatore del regno unificato prima della sua scissione in Impero Romano d'Oriente ed Impero Romano d'Occidente.

Il Cristianesimo uscì quindi da oltre tre secoli di soprusi ed umiliazioni, ed in brevissimo tempo scalzò la vecchia religione romana, ancorata essenzialmente al mito di Giove e degli altri dei di derivazione greca.

Inizialmente, le prime comunità cristiane si riunivano negli edifici antesignani delle chiese, ossia le case dei nobili e dei patrizi che avevano accettato il nuovo culto e si erano convertiti: tali dimore, chiamate "domus ecclesiae" erano convertite ad uso pubblico, e sulla loro base si sarebbero poi costruite le prime chiese della storia.

La loro importanza architettonica è quindi essenziale per capire tutta l'architettura sviluppatasi poi con l'espansione del Cristianesimo.

Il Buon Pastore, una delle tante allegorie del Cristo nell'arte paleocristiana
Il Buon Pastore, una delle tante allegorie del Cristo nell'arte paleocristiana

La prima arte cristiana: simboli e simbolismo

L'arte sacra cristiana all'inizio non si discostava molto da quella pagana della tradizione greco-romana: le immagini dei miti e delle tappe fondamentali di Roma erano piuttosto sostituite con elementi simbolici della nuova religione, come ad esempio il 'buon pastore' e la rappresentazione dell'ultima cena del Cristo, con il fondamentale rito dell'Eucaristia.

Le prime opere rinvenute e pervenute a noi, quasi sempre a carattere funerario, non rappresentavano il dio cristiano in maniera diretta, per non incappare nella censura dell'aniconismo (il divieto di raffigurare Dio espressamente citato nella Bibbia): in alternativa, i primi artisti cristiani dovettero quindi trovare elementi allegorici, come l'agnello, il già citato 'buon pastore' od il pesce, il cui nome greco peraltro (ichthys) era anche l'acronimo di "Iesùs Christòs Theoù Yiòs Sotètur", ovverosia "Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore".

La rappresentazione esclusivamente per simboli si protarrà fino all'inizio del III secolo d.C., quando il famoso e celebre concilio di Nicea stabilì definitivamente la doppia natura del Cristo (Dio ed uomo), rendendo quindi possibile la sua rappresentazione.

Il Chi-Rho, ossia l'anagramma del Cristo
Il Chi-Rho, ossia l'anagramma del Cristo

Le raffigurazioni paleocristiane a noi giunte sono essenzialmente mosaici e pitture, spesso presenti nelle catacombe dove le prime comunità cristiane solevano inumare i propri defunti e riunirsi per praticare il rito dell'Eucaristia.

La scultura cristiana rimarrà abbastanza inutilizzata per tutto il III secolo d.C., e sarà presente principalmente nel caso di coperchi per sarcofagi di tombe illustri, ben lontana dai canoni e dall'epicità che la rappresenteranno nei secoli a venire.

L'arte bizantina

Nel 476 d.C., dopo una tremenda crisi politica, militare ed economica, l'imperatore fantoccio Romolo Augustolo fu forzatamente deposto dal barbaro Odoacre, re degli unni, una popolazione originante della Siberia che, complice l'indebolimento dei confini romani, s'era spinta addirittura ben oltre le alpi.

Questo fatto mise formalmente fine all'Impero Romano d'Occidente, e segnò l'inizio di più di un millennio di sanguinose guerre per tutta Europa, nonché diede origine al frazionamento ed alla ripartizione politica, sociale e linguistica del continente che ancora oggi si può notare.

Ciò fece iniziare convenzionalmente l'età chiamata Medioevo, in cui si assistette, in tutta Europa, ad un brusco calo demografico, a periodi politici instabili e ad una generale involuzione delle arti e della civilizzazione delle società del periodo.

Un esempio di mosaico bizantino
Un esempio di mosaico bizantino

Una sola parte d'Euraisa prosperò per altri 1000 anni, e fu quella sotto il controllo dell'Impero Romano d'Oriente, con capitale Costantinopoli.

Chiamato anche dagli storici moderni 'Impero Bizantino' (per il vecchio nome di Costantiponoli, oggi Istanbul), anche se per tutta la sua storia millenaria non fu mai chiamato così ma bensì semplicemente "Impero Romano", lo sterminato territorio che controllava l'imperatore, nel suo periodo massimo d'espansione, andava dalle Colonne d'Ercole sino all'Anatolia, comprendendo tutti i balcani, la penisola italica e buona parte del Mar Nero meridionale.

Tutto l'impero fu per secoli il nuovo centro della cristianità e dell'arte europea: i soggetti considerati pagani, ossia i miti e gli dei dell'arte greco-romana, furono totalmente soppiantati dalle icone della religione cristiana, ormai libera di raffigurare a piacere sia il Cristo che i suoi seguaci.

Il regno di Costantinopoli produsse opere di indubbio valore, e nella sua millenaria esistenza gli artisti romani mirarono principalmente al ravvicinamento dell'uomo verso il divino: l'astrazione quasi pura verso il soprannaturale è il motivo portante di tutta la produzione pittorica e scultorea, ed il misticismo è forse la caratteristica più evidente di ciò.

Teodorico di Verona,
Dove vai tanto di fretta?
Tornerem, sacra corona,
A la casa che ci aspetta?

Il mosaico ricoprì un'importanza fondamentale all'interno dell'arte bizantina, e ne diventò ben presto una delle colonne portanti: la qualità delle opere prodotte con tale tecnica, che ben si confaceva agli stili degli artisti del tempo, si mantenne sempre elevatissima per tutta la durata dell'impero, ed eccellenti esempi di ciò sono pervenuti a noi anche nella penisola italiana.

Ne è un ottimo esempio la Basilica di San Vitale a Ravenna, città divenuta, dopo la caduta di Odoacre, la nuova capitale del regno di Teodorico.

Il cristianesimo

Il Cristianesimo è una religione abramitica, derivata cioè da Abramo, uno dei patriarchi citati nella Bibbia di derivazione ebraica.

Essenzialmente, con il Giudaesimo (ma anche con l'Islam) condivide la stessa divinità, ossia Yahweh: un dio abbastanza feroce e vendicativo, che ha stretto un patto con un particolare popolo, ossia quello ebraico.

Yahweh è visto sia come un dio locale, ossia esclusivo di una zona di mondo ben determinata (essenzialmente, la zona della penisola araba di ridosso al'istmo di Suez), che come un dio invece universale, creatore di tutto.

Il Cristo, ossia il Messia dei cristiani
Il Cristo, ossia il Messia dei cristiani

Al contrario della fede ebraica, però, il Cristianesimo crede che Yahweh si sia incarnato circa 2000 anni fa in un falegname di Nazareth chiamato Yēšū́a (Jesus in latino e Gesù in italiano), dando vita a quella che viene comunemente chiamata la Trinità, ossia: Padre, Figlio e Spirito Santo, ovverosia il respiro di Dio.

La cosa fondamentale da comprendere per capire il cristianesimo è che la Trinità è un concetto inscindibile: le tre figure sono un'unica entità, ma con tre differenti manifestazioni; a loro volta le tre differenti manifestazioni coesistono unitamente, secondo la comune accezione 'uno e trino'.

La creazione di Adamo nel celebre affresco di Michelangelo Buonarroti nella Cappella Sistina
La creazione di Adamo nel celebre affresco di Michelangelo Buonarroti nella Cappella Sistina

I vangeli come ispiratori d'arte

Le fonti storiche a noi pervenute che narrano delle vicende di Yēšū́a sono state scritte da mani differenti ed in tempi differenti, e sono chiamate vangeli: essi sono indubbiamente originali del tempo, ma essendo scritti da fedeli - la cui vera identità è anch'essa non accertabile - è abbastanza difficile stabilire dove finire la storicità e dove inizia il puro atto di fede.

Nel corso dei secoli sono stati scritti molti vangeli, e molti sono andati perduti: attualmente quelli considerati canonici sono il Vangelo secondo Matteo, il Vangelo secondo Marco, il Vangelo secondo Luca ed il Vangelo secondo Giovanni.

Quo vadis, Domine?

I vangeli che la chiesa ha considerato di dubbia provenienza, e pertanto escluso dalla canonicità, sono considerati apocrifi: al contrario di quello che crede molta gente, la Chiesa Cattolica non ha nessun interesse nell'occultare tutte le prove e le testimonianze reali dell'azione terrena di Gesù, ma applica e riconosce la canonicità seguendo determinati criteri, per altro molto ferrei.

Tutti e quattro i vangeli canonici, gli atti dei primi discepoli di Gesù (apostoli), le corrispondenze di questi con le comunità cristiane nascenti di allora ed il libro dell'Apocalisse (o Rivelazione) di Giovanni formano il cosiddetto "Nuovo Testamento" (in greco: Η Καινή Διαθήκη), che i cristiani hanno incluso nella Bibbia ebraica, chiamata "Vecchio Testamento".

Inizialmente il cristianesimo si diffuse nelle comunità ebraiche del periodo, e non c'era distinzione tra le due religioni: gli ebrei cristiani ritenevano Gesù il tanto sospirato Messia promesso più volte dai profeti della Torah (la Bibbia ebraica), con l'aggiunta del fatto che, invece di un semplice uomo, Yahweh stesso aveva deciso di incarnarsi per porre fine alle sofferenze del suo popolo.

Ciò era ritenuto inaccettabile dalla dottrina ebraica del periodo, e fu la principale motivazione per cui Gesù fu messo a morte, dopo che aveva iniziato la sua attività di predicatore a circa 30 anni.

Al tempo la Giudea, la principale regione dove avvennero i fatti salienti per la religione cristiana, era divenuta - non senza penare - una provincia di Roma: era una regione però politicamente molto instabile, in cui le rivolte della popolazione locale contro i romani erano all'ordine del giorno.
Per sua politica divenuta storica, Roma non s'intrometteva mai nelle faccende locali dei popoli dominati (anzi, spesso assimilati), ma lasciava piena autonomia locale agli organi di governo e potere del territorio: si riservava però di chiedere i regolari tributi, e di farsi fornire forza militare in caso di conflitto.

L'attività di predicatore di Gesù durò pochi anni, forse due o tre: all'inizio fu piuttosto ignorata dagli alti livelli della società del periodo poi, al crescere della sua popolarità, fu vista come un pericolo.

La predicazione del Cristo (ossia, l'Unto, ovviamente da Dio) si rivolse agli strati sociali più bassi o meno considerati della società: poveri, prostitute, donne, bambini, criminali vari ecc ecc., unendo anche comunità minoritarie generalmente mal viste quali samaritani, pubblicani (i collaborazionisti di Roma, incaricati dell'inviso compito di raccogliere i tributi) et similia.

Il Papa
Il Papa è, per i fedeli di rito cattolico, il vicario del Cristo in terra. Risiede usualmente nel colle Vaticano a Roma

Una religione scomoda

Il contenuto dei messaggi delle sue prediche e la non curanza dei divieti e delle imposizioni della Torah, nonché un duro e diretto attacco alla mercificazione del Tempio maggiore di Gerusalemme, fecero divenire Gesù inviso al Sinedrio, ossia l'autorità di governo locale del periodo.

La crescente popolarità conseguita tra la gente, con la sua acclamazione come Messia, fecero optare Caifa, il sacerdote a capo del Sinedrio, per una risoluzione drastica e pratica, ossia l'eliminazione fisica.

Venne accusato di eresia e bestemmia (essendosi equiparato a Dio) e fu forzatamente costretto il governatore della Giudea del tempo, il romano Ponzio Pilato, a condannarlo a morte.

Roma non aveva nessun interesse ad uccidere un ex falegname, predicatore delirante, ma per paura di una sommossa popolare - l'ennesima - Pilato accosentì 'lavandosene le mani' (ovverosia: non prendendosi la colpa e la responsabilità delle decisioni altrui).

Gesù fu quindi condannato a morte, per mezzo della crocifissione, che fu eseguita un venerdì sotto il periodo della Pasqua ebraica: prima di essere giustiziato, fu anche flagellato, ossia pesantemente fustigato.

Questi fatti sono realmente successi, ed il governatoriato di Ponzio Pilato è storicamente accertato.

Cioè che successe dopo la morte di Gesù rientra nel mistero della fede cristiana: secondo le testimonianze dei vangeli, il corpo resuscitò tre giorni dopo, per poi ascendere al cielo.

La resurrezione è uno dei misteri cardine della fede cristiana: oltre alla Trinità, l'ascesa del Cristo al regno ultraterreno con tutto il corpo è la prova che esiste l'essenza dopo la mera morte fisica, che poi è il concetto cardine di ogni religione.

Diffusasi dapprima tra la comunità ebraica del periodo, la nuova religione arrivò a Roma e da lì s'espanse a macchia d'olio, dapprima tra le classi più abbienti e poi, grazie al suo messaggio abbastanza semplice e diretto (specie a favore delle categorie più infelici) conquistò le parti povere della popolazione di un impero ormai gigantesco, che andava dal Portogallo al Mar Nero.

Il Cristianesimo fu inviso alle autorità governative di Roma per circa tre secoli: per Roma il culto pubblico di qualsiasi religione doveva necessariamente intrecciarsi col concetto stesso di Stato, senza eccezioni.

Le religioni dei popoli conquistati potevano sussistere senza problemi ed addirittura essere integrate nel pantheon di dei romani, purché queste non cozzassero direttamente contro l'autorità della Repubblica ed i suoi principi fondamentali.

L'imperatore Costantino, il primo imperatore romano di fede cristiana
L'imperatore Costantino, il primo imperatore romano di fede cristiana

Il pericolo del cristianesimo visto da Roma

La religione quindi era parte del sistema sociale atto a mantenere la sicurezza e la coesione nazionale, ed in questo contesto poco importava del dio che si integrava in tale sistema: ecco perché era molto facile, per i romani, assimilare le divinità dei popolo conquistati.

Anche il Giudaesimo, seppur con eccezioni, era tollerato e tutto sommato integrato nel contesto: la religione ebrea era considerata storica e identificativa di un popolo e di una nazione, quindi accettata per la consueta prassi di non interferenza con le culture delle genti conquistate.

I problemi con i giudei erano semmai di carattere squisitamente economico: quasi tutte le rivolte nella Giudea erano originate essenzialmente dal rifiuto degli ebrei di pagare i tributi ad un imperatore straniero, cosa considerata illegale ed empia.

Ciò nonostante, Roma comprendeva la religione ebraica poiché millenaria ed identificativa della nazione, così come comprendeva che seguire i dettami dei padri e degli antenati era un dovere per gli ebrei del tempo.

Il Cristianesimo però andava oltre l'Ebraismo: i cristiani venivano considerati una vera e propria setta, peraltro di mezzi esaltati che non solo avevano rinnegato la religione dei loro padri (l'Ebraismo), ma che si riunivano in segreto per compiere atti assurdi, tipo l'Eucaristia, in nome di un irrilevante carpentiere predicatore morto in una remota regione dell'impero.

Il loro non partecipare pubblicamente con i loro riti veniva visto come un oltraggio allo Stato, e come possibile congiura per minare dall'interno la costituzione.

Questa fu molto probabilmente la vera ragione delle persecuzioni che martirizzarono i primi cristiani fino all'Editto di tolleranza del 30 aprile del 311, in cui la religione - ormai fortemente radicata nella società a tutti i livelli - fu elevata allo stato di 'religio licita', ossia culto riconosciuto ed ammesso.

Con questo vinci

Nel 312, la sera prima della famosa battaglia di Ponte Milvio contro le truppe del generale Massenzio, l'imperatore Costantino non compì gli usuali riti rivolti agli dei romani, ma bensì arringò le sue truppe dicendosi certo della vittoria, poiché un dio molto più potente avrebbe guidato lui ed i suoi uomini.

Per bocca dello stesso imperatore, ci sarebbe stato un evento miracoloso: in cielo sarebbe apparsa la scritta in greco "Εν Τουτω Νικα" ("Con questo vinci") tradotta poi in latino come "In hoc signo vinces" ("Con questo simbolo, vincerai"), ed il simbolo in questione sarebbe stata una croce latina, unita alla lettera P.

In pratica il Chi-Rho, ovverosia il monogramma della parola "Cristo".

Costantino diede quindi istruzioni ai suoi generali di lasciar liberi i propri soldati, qualora lo volessero, di incidere il monogramma sugli scudi.

Tutto ciò è stato documentato da Eusebio di Cesarea, il consigliere e biografo di Costantino, ed egli stesso afferma di aver avuto una certa reticenza a credere alle parole dell'imperatore, ma di averle trascritte solo perché Costantino gliele aveva proferite sotto giuramento.

Molto probabilmente, da abile stratega ed astuto condottiero qual era, Costantino era a conoscenza che molti suoi generali e gran parte delle proprie truppe era di dichiarata fede cristiana, e che quindi una forte motivazione religiosa prima della battaglia sarebbe potuta risultare utile alla stessa.

Nel 312 gli imperatori Costantino e Licinio sottoscrissero a Milano lo storico editto che non sono attuava quello precedente (che aveva posto fine alle persecuzioni), ma che apriva il culto di qualsiasi religione gradita ai cittadini di Roma, a prescindere dalla sua natura.

L'editto di Milano segna una data storica non solo per il futuro di Roma, ma per quello di tutto l'Occidente: da lì in poi il Cristianesimo si espanderà in tutto il mondo, segnando storia, cultura, arte ed usanze per una quantità enorme di popoli, sino ai giorni nostri.

Com'è organizzato il cristianesimo

Il Cristianesimo non è una religione compatta ed omogenea: nel corso dei secoli, si sono creati diversi scismi, che hanno causato la nascita di un'infinità di confessioni sparse in tutto il mondo.

La Chiesa Cattolica (ovverosia, 'universale') è la confessione più antica: si basa sul ministero del primo vicario di Gesù da lui direttamente scelto, ossia l'apostolo Pietro.

Tutti i successori di Pietro sono chiamati 'Papi', e nei secoli s'è creata una fortissima comunità di cristiani cattolici in tutto il mondo, che riconoscono l'autorità del Papa e le sue disposizioni.

Divenendo religione ufficiale dell'Impero Romano, alla caduta del ramo occidentale la Chiesa Cattolica ha praticamente inglobato tutta la gerarchia di Roma ed il potere temporale, dando vita allo Stato Pontificio: un regno che rimase in essere sino alla famosa presa di Roma da parte dei bersaglieri di Vittorio Emanuele, sul finire dell'800.

Dal XVI secolo in poi, diversi tumulti hanno diviso Chiesa Cattolica in più confessioni, chiamate protestantesimo: l'integerrimo monaco tedesco Martin Lutero iniziò lo scisma, che è tutt'ora in essere.

Nell'Impero Romano d'Oriente s'è poi creata un'ulteriore ramificazione che, nel corso dei secoli, ha dato origine alla Chiesa Ortodossa.

Tutta la mitologia del Cristianesimo è di fondamentale importanza per la produzione artistica occidentale, dall'inizio del medioevo sino all'arte contemporanea: quasi tutte le più grandi opere d'arte prodotte dall'uomo sono a soggetto cristiano ('arte sacra').

Andiamola quindi a conoscere:

Dio
Yahweh (Dio, Jahvè, Geova)

Il dio del popolo ebraico, con il quale ha stretto un particolare patto, millenni fa.
A seconda di come lo si interpreta, può essere una divinità prettamente locale oppure un dio universale, e le sue azioni vengono viste quindi come una specie di sineddoche religiosa (il popolo d'Israele come concetto totale del popolo del mondo).
È un dio abbastanza geloso, violento e vendicativo, anche se molte sue azioni sono scritte nella Bibbia per farle comprendere ad un popolo di tanto tempo fa, con concetti di vita e di società ben differenti da quelli odierni, e perciò il loro significato deve necessariamente essere contestualizzato.
Nel credo Cristiano, il suo respiro (lo Spirito Santo) avrebbe ingravidato Maria, permettendo quindi la sua incarnazione nel Cristo.
Ciò avrebbe causato la creazione della Trinità, ossia la sua natura finale 'contaminata' (se così si può dire) dall'essenza umana.
La religione ebraica proibisce categoricamente di raffigurarlo, e per i primi tempi della cristianità questo divieto fu comune anche al nuovo credo.
Col passare del tempo, però, questo limite è cessato, e molti artisti lo hanno raffigurato, seppur con iconografia differente.
Generalmente è rappresentato come un veglio con lunghi capelli e barba bianca, oppure come una mano che scende dal cielo.
Anche il famoso simbolo dell'Occhio della Provvidenza è spesso usato per rappresentarlo.

Gesù Cristo
Yesua (Iesus, Gesù, Nostro Signore)

Chiamato 'il Messia' o 'il Cristo' (cioè l'Unto), è un predicatore ebreo vissuto in Giudea circa 2000 anni fa, fondatore del Cristianesimo, o meglio: figura utilizzata dai suoi proseliti per fondare poi una 'corrente' del Giudaesimo che sarebbe divenuta il Cristianesimo.
Nato a Betlemme da una ragazza di nome Myrhiàm (Maria) sposata in giovane età con un uomo chiamato Yosef (Giuseppe), di professione carpentiere, secondo i vangeli la sua nascita fu per volere di Dio, che s'incarnò in Maria grazie al suo respiro, ossia lo Spirito Santo.
Indi per cui, Gesù non è stato propriamente creato, ma generato dalla stessa sostanza di Dio, incarnandosi in un essere umano.
Cominciò l'attività di predicatore errante a circa 30 anni, ponendo la sua attenzione soprattutto sulle classi più reiette ed abbandonate della rude società ebraica di allora; per questo motivo, e per il linguaggio semplice e diretto delle sue predicazioni, si guadagnò in poco tempo una certa fama presso il popolo, peraltro abbastanza stufo della dominazione romana.
Sempre secondo le fonti dei vangeli, compì numerosi miracoli e fatti straordinari, tipo: curare malattie ritenute insanabili, guarire da malformazioni fisiche o menomazioni, addirittura riportare in vita i morti.
Divenuta figura abbastanza scomoda, fu molto sommariamente processato e condannato a morte dal Sinedrio come blasfemo, e la condanna fu forzatamente eseguita da Ponzio Pilato, l'allora governatore romano della regione.
Crocifisso dopo essere stato torturato, i vangeli dei suoi apostoli riportano che risorse dopo tre giorni, lasciando il suo sepolcro per poi ascendere verso un regno ultraterreno, promettendo però di rimanere sempre a fianco di tutti, fino alla fine dei giorni.
Gesù è uno dei tre componenti della Trinità, ossia la forma finale di Dio.
Iconograficamente, nel periodo in cui la sua raffigurazione diretta era proibita, era idealizzato con la forma di un agnello, di un pastore oppure col simbolo stilizzato di un pesce.
Dopo che vi fu la liberalizzazione delle rappresentazioni, inizialmente fu raffigurato come un giovane uomo senza barba, dai caratteri fortemente latini.
L'immagine del Cristo biondino, con barba e con occhi azzurri (del tutto improponibile nella realtà, considerando la regione di nascita) è di origine Rinascimentale, il cui Gesù diventa il prototipo dell'uomo perfetto (secondo gli standard europei del tempo).
Non sono comunque mancati i casi, nella storia dell'arte, di artisti che hanno ritratto il Cristo con immagini molto forti, con aspetto sgraziato e sofferente, specialmente durante il supplizio.

Gesù Cristo
Spirito Santo

Il respiro di Dio, ossia la sua emanazione incontrollabile che da forma e sostanza alla realtà.
Datosi che Dio è comunque un essere vivente, si pressuppone che esso respiri: lo Spirito Santo è dunque il suo alito che genera la vita.
Lo Spirito Santo è parte della Trinità e, datosi che è abbastanza difficile dipingere ciò che non è visibile (ma che permea comunque tutto il creato), gli artisti nei secoli hanno tentato di rappresentarlo sotto forma di colomba bianca.

Madonna
Myrhiàm (Maria, Madonna, Santa Vergine, Immacolata)

La madre di Gesù, in cui Dio stesso ha deciso di farsi uomo, ingravidandola con il suo respiro (lo Spirito Santo).
Data in sposa a Giuseppe molto giovane (secondo le usanze del tempo, non avrebbe dovuto avere più di 15 anni), la sua maternità le fu svelata da un angelo: nello specifico, l'arcangelo Gabriele, il messaggero di Dio.
Il fatto che sia rimasta incinta senza essere stata carnalmente con un uomo ha dato origine al soprannome "Santa Vergine".
Al contrario di suo marito, probabilmente morto molto tempo prima di Gesù, Maria rimarrà accanto allo sfortunato figliolo fino all'ultimo, e sarà presente alla Pentecoste assieme agli altri apostoli.
Il suo fato finale è comunque sconosciuto: i teologi cristiani cattolici suppongono che sia ascesa nel regno ultraterreno con tutto il corpo fisico, mentre per i credenti protestanti la figura, per quanto importante, fu solamente la necessaria madre fisica di Gesù, e per questo trascurabile come importanza religiosa.
La chiesa cattolica e quella ortodossa la venerano come santa, e moltissime sono (specialmente in Italia) le feste, sia locali che nazionali, che la celebrano.
Il suo culto per i cattolici è uno dei più importanti.

L'arte medievale

Per arte medievale di fa usualmente riferimento a quel periodo che va dall'avvento delle invasioni dei barbari nella penisola italica (476 d.C.) sino alla fine del 1400, convenzionalmente con la scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo e la sua ardita spedizione.

In totale quindi il medioevo durò quasi mille anni: un periodo eccezionalmente lungo per la vita umana, in cui la caduta di Roma e la fine della 'Pax Romana' creò una serie di continue guerre tra i popoli che cercarono di riorganizzarsi dopo che per secoli erano stati governati dai romani.

La lingua latina, assieme al greco la lingua franca dalla penisola iberica fino all'Anatolia, si modificò in una serie di dialetti volgari, a volte con svariate contaminazioni provenienti dai nuovi ceppi linguistici indoeuropei portati dai barbari.

Nella prima arte del medioevo il Cristo è raffigurato come un re
Nella prima arte del medioevo il Cristo è raffigurato come un re

Cominciarono a costruirsi i primi stati unitari, con d'apprima l'egemonia dell'Impero Carolingio di Carlo Magno e poi del Sacro Romano Impero, e via via la costituzione delle nazioni sul modello più o meno attuale.

In mille anni di guerre, di lingue differenti e di divisioni, sia sociali che economiche, tutta l'Europa, buona parte dell'Asia Minore e molte parti del nord Africa furono tenute assieme da un unico collante: la religione cristiana.

L'iconografia cristiana è il filo rosso che tiene unite tutte le culture e le produzioni artistiche del medioevo: l'arte bizantina, libera dai veti di rappresentazione di dio, cominciò a produrre l'iconografia classica del Cristo che è arrivata più o meno intatta sino ai giorni nostri.

L'architettura sarà l'arte che soffrirà di più, almeno per i primi secoli: caduto l'Impero Romano d'Occidente e le sue incredibili innovazioni tecniche, ci saranno periodi poco felici per le costruzioni monumentali, mentre le opere di pubblica utilità come acquedotti e terme saranno progressivamente abbandonati e lasciati decadere.

L'arco a sesto acuto, la caratteristica dell'architettura gotica
L'arco a sesto acuto, la caratteristica dell'architettura gotica

Bisognerà attendere il X secolo e l'arte romanica per cominciare a rivedere produzioni architettoniche di un certo rilievo, soprattutto a carattere religioso.

Nella pittura romanica, Gesù è raffigurato abbastanza differentemente che in quella paleocristiana e bizantina: è piuttosto un re e non un Signore, e gli vengono infatti attribuiti elementi tipici dei regali.

Il Cristo raffigurato come re unico

Datosi che la Chiesa Cattolica è l'unica forma di monarchia fissa e sicura che conoscono tutti i popoli d'Europa, risulta naturale, per gli artisti, raffigurare Gesù come l'unico vero re sopra tutto e tutti.

La prospettiva è ancora assente, o per meglio dire è squisitamente frontale, ed i colori usati negli affreschi e nei dipinti risentono ancora moltissimo dell'influsso bizantino, da cui si staccheranno definitivamente solo verso la fine del medioevo.

La raffigurazione visiva non è tanto creata per abbellimento, ma per istruzione ed indottrinamento: immagini semplici e di potenza rappresentativa consona sono usate per spiegare ai fedeli quasi totalmente analfabeti la storia del Cristo e l'origine della loro fede, in maniera molto più efficace di qualsiasi altro metodo orale.

Con l'avvento dell'arte gotica e dell'arco a sesto acuto, si assiste all'ennesima evoluzione dell'architettura: l'agilità e la leggerezza del nuovo arco permisero soluzioni mai sperimentate prima, con edifici d'altezza impensabile, al limite della tenuta strutturale.

Giotto e la nascita della prospettiva

La pittura compie un balzo in avanti enorme nel XIII secolo: l'artista toscano Giotto da Bondone (Vespignano, 1267 – Firenze, 8 gennaio 1337) inventa per primo un nuovo metodo rappresentativo del tutto innovativo, con l'uso della prospettiva.

È un cambio epocale, che influenzerà pesantemente tutta la produzione artistica dei secoli a venire: la terza dimensione permetterà agli artisti di raggiungere nuovi traguardi e toccare vette d'eccellenza, rappresentando la realtà con una visione del trutto differente rispetto al passato.

L'innovazione è così importante che molti storici d'arte fanno iniziare dallla pittura di Giotto la fine del medievo.

Giotto da Bondone, il primo artista al mondo ad introdurre la prospettiva nella pittura
Giotto da Bondone, il primo artista al mondo ad introdurre la prospettiva nella pittura

Alla fine del XIV secolo, la situazione politica europea era divenuta più o meno ricalcante quella attuale: da tempo si erano consolidati gli stati unitari di Spagna, Francia ed Inghilterra, mentre di lì a poco l'Impero Bizantino sarebbe definitivamente caduto per opera degli ottomani.

L'Italia era frazionata in una moltitudine di stati minoritari, con particolare importanza di Firenze, della Repubblica di Venezia e dello Stato Pontificio.

Nonostante la divisione politica, l'Italia era un paese popolato da genti che condividevano la stessa religione (quella cattolica), una lingua comune e, soprattutto, una grandissima operosità ed abilità artigiana ed artistica.

La lavorazione dei metalli e la tecnica edilizia erano tornati ad altissimi livelli già verso la fine del 1300; un'epoca di grandi sconvoglimenti stava per inziare, e un nuovo mondo, sconosciuto prima ai popoli dell'Europa e dell'Asia Minore, stava per essere scoperto.

God bless America! Finisce il medioevo

Il 12 ottobre 1492, dopo più di due mesi di navigazione nell'oceano Atlantico, tre piccole caravelle capitanate dal genovese Cristoforo Colombo attraccarono nei pressi dell'odierna San Salvador nell'arcipelago delle Bahamas.

Colombo era convinto di essere riuscito a tracciare una nuova rotta per le Indie, evitando di circumnavigare l'Africa e doppiare il Capo di Buona Speranza per raggiungerle invece facendo rotta verso occidente.

Tale impresa era ritenuta pressoché impossibile con la tecnologia navale dell'epoca: al contrario di quello che comunemente si crede, nessuno dei naviganti, studiosi o scienziati del medioevo pensava che la Terra fosse piatta (il concetto della terra sferica era ben noto già dai tempi di Aristotele, e non era più argomento di discussione da secoli), ma tutti sostenevano che la distanza da percorrere dall'Europa fino alle Indie fosse troppa.

Cristoforo Colombo sbarca nel Nuovo Mondo
Cristoforo Colombo sbarca nel Nuovo Mondo

Tale convizione era in realtà corretta: nessuna nave dell'epoca avrebbe potuto percorrere una distanza così grande.

Già nel III secolo a.C. il dotto Eratostene, direttore della leggendaria biblioteca d'Alessandria d'Egitto, calcolò con sorprendente precisione la misura dell'equatore (esattamente 40.076 km), ma Cristoforo Colombo, desideroso di trovare una nuova via commerciale proficua per lucrarci su qualcosa, effettuò dei calcoli personali (errati), in cui stabilì che l'equatore doveva essere molto più piccolo di quello detotto (con un ingegnoso metodo scientifico sperimentale) da Eratostene.

Questo grave errore di calcolo paradossalmente lo convinse di riuscire ad arrivare via mare nel paese descritto da Marco Polo e, dopo aver ricevuto un secco rifiuto dal re del Portogallo,

Colombo ottenne i favori di Isabella di Castiglia, regina di Spagna, che gli accordò tre caravelle, con le quali partì dal porto di Palos de la Frontera la mattina del 3 agosto 1492, destinazione isole Azorre.

La Nina, la Pinta e la Santa Maria, le tre caravelle usate da Colombo per raggiungere le Americhe
La Nina, la Pinta e la Santa Maria, le tre caravelle usate da Colombo per raggiungere le Americhe

Sfruttando i venti alisei, che soffiano sempre da est verso ovest e di cui Colombo era a conoscenza, la spedizione del marinaio genovese toccò per la prima volta terra che nessun altro europeo aveva mai toccato prima: non era l'India, ma un gigantesco continente agli europei ancora del tutto sconosciuto.

Ovviamente, il mega-continente è quello conosciuto oggi come America, nome mutuato da un altro grande navigatore italiano che lo girò in lungo ed in largo, il fiorentino Amerigo Vespucci.

Questo fatto, che alle orecchie del popolino europeo sarebbe arrivato solo molti anni dopo, viene convenzionalmente fatto coincidere dagli storici con la fine del lungo millennio del medievo.

Da qui in poi, per tutta la storia umana, comincerà un periodo di enormi scoperte e grandissime innovazioni, funestato però - come sempre - da orribili guerre e genocidi vari.

Il Rinascimento

Per 'rinascimento' s'intende quel particolare periodo storico compreso tra la fine del XIV secolo d.C. e l'inizio del XVI secolo d.C., in cui l'Italia (e special modo i centri di Firenze e Roma) fu il centro di importanti innovazioni tecniche, scientifiche ed artistiche, di tale spessore e consistenza da far considerare il periodo una rottura con il medievo, iniziando in tal modo l'era moderna.

Il Rinascimento fu più che un movimento artistico, ma un vero fermento sociale che, partito dal Belpaese, s'espanse in tutta Europa, e poi anche nelle nuove colonie d'oltre oceano.

Quant'è bella giovinezza,
Che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non v'è certezza.

Se nel medioevo la singola personalità, intesa come coscienza unica dell'uomo rispetto alla società, fu ben poco calcolata in quanto obbligatoriamente parte di una comunità (o di una confraternita, o feudo), il Rinascimento portò una differente visione, con un nuovo concetto di persona e d'armonia con il creato; un rinnovamento quindi importante, che storicamente s'è definito come 'umanesimo'.

Lorenzo de' Medici, il Magnifico signore di Firenze, uno dei più grandi mecenati della storia
Lorenzo de' Medici, il Magnifico signore di Firenze, uno dei più grandi mecenati della storia

L'uomo dal multiforme ingegno: Leonardo da Vinci

Nel Rinascimento l'arte è vista come la massima forma, da parte dell'uomo, per affermare la propria unicità in un universo che comincia a girargli attorno come entità ben definita: l'esempio del famoso "Uomo vitruviano" di Leonardo da Vinci (Anchiano, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519) che rappresenta un nuovo canone per le proporzioni ideali del corpo umano, perfettamente inscritto in una circonferenza (la perfezione divina, il cielo) ed un quadrato (la realtà terrena).

Leonardo sarà uno degli artisti simbolo del Rinascimento: uomo dal multiforme ingegno, considerato tutt'ora uno dei più grandi geni di tutti i tempi, il suo operato spaziò in pressoché ogni campo dello scibile umano, dalla pittura sino all'ingegneria meccanica.

Pittore di rara grazia, fu l'inventore della prospettiva aerea, nonché autore della celebre "Monna Lisa (o Gioconda)" del famosissimo affresco de "L'Ultima Cena", della "Dama con l'Ermellino" e di tantissimi altri ritratti e dipinti, per una carriera da pittore di assoluto prestigio.

Mente fervida e vulcanica, conquistò particolare fama per i suoi esperimenti scientifici e per i suoi progetti di macchine e difese militari, nonché del suo accurato studio dell'anatomia umana, con un certosino lavoro di autopsia sui cadaveri e di accurata riproduzione grafica delle parti interne del corpo.

Quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentes.

Considerato uno dei primi 'proto-scienziati', fu anche uno dei primi ingegneri che studiò a fondo il meccanismo del volo degli uccelli, ideando i primi prototipi di 'macchina volante': un telaio abbastanza complesso di legno, azionante una coppia d'ali e una specie di timone per coda, nei piani dell'artista adattabile al volo umano.

Purtroppo, le limitate tecnologie dell'epoca e le obiettive difficoltà di realizzare una spinta adatta non permetteranno al da Vinci di sperimentare un prototipo di successo, ma l'artista fu uno dei primi ad intuire che il segreto del volo è dato dalla differenza di pressione dell'aria su una superficie a forma d'ala (la portanza).

Raffaello Sanzio, uno dei maestri indiscussi del Rinascimento
Raffaello Sanzio, uno dei maestri indiscussi del Rinascimento

Ancora, a Leonardo va l'invezione del paracadute, della bicicletta e dell'elicottero, la famosa 'Vite aerea', il deltaplano, lo scafandro da palombaro e la costruzione dei primi cannoni da guerra da 4 libre di piombo.

L'inventiva dell'arista toscano non si fermò solo all'ingegneria meccanica, ma riguardò anche tanti altri campi della scienza: fu infatti uno dei primi non solo ad essere certo della centralità del sole nel nostro sistema di pianeti ma, anticipando di qualche secolo Isacco Newton, ipotizzò che a loro volta tutti i pianeti si attrassero tra di loro, sulla falsariga di enormi calamite.

Il "Laocoonte", copia romana di un originale greco ritrovata nel 1506
Il "Laocoonte", copia romana di un originale greco ritrovata nel 1506

Michelangelo Buonarroti e la riscoperta dei canoni ellenici

Il 14 gennaio del 1506 venne ritrovata a Roma una scultura di antica fattura romana (molto probabilmente una copia di un bronzo greco), di grande imponenza e di particolare sensibilità plastica: è il Laocoonte, celeberrima opera che trae spunto dalla leggenda del Laocoonte avvenuta durante l'epilogo della guerra di Troia, narrata da Virgilio nella sua "Eneide".

Sul posto dello scavo, che le cronache riportano di grandi dimensioni, era presente anche un artista toscano, che di lì a poco sarebbe divenuto, assieme a Leonardo da Vinci, uno dei giganti mondiali di ogni tempo: Michelangelo Buonarroti.

Il "Giudizio Universale" eseguito da Michelangelo Buonarroti nella Cappella Sistina
Il "Giudizio Universale" eseguito da Michelangelo Buonarroti nella Cappella Sistina

Nato a Caprese il 6 marzo 1475, Michelangelo fu uno dei pochi artisti ad essere considerato già grande durante la vita: le sue opere, spesso monumentali, spaziano dalla pittura alla scultura e all'architettura, sebbene lo stesso artista si sia sempre considerato principalmente uno scultore.

Il ritrovamento del Laocoonte e della sua mirabile plasticità fu senza dubbio un'emozione forte per il giovane Michelangelo, e si può ben dire, col senno di poi, che fu senza dubbio ispiratore per tutta la sua opera futura: il corpo umano e la sua esasperazione muscolare diventarono il centro focale della sua arte, e vennero prodotti capolavori come l'affresco della Cappella Sistina e il Giudizio Universale a Roma, il "Mosé" conservato a San Pietro in Vincoli, la "Pietà", l'immenso "David" a Firenze e il riordino del Campidoglio di Roma, compreso il progetto della nuova cupola della basilica di San Pietro.

Il "David" di Michelangelo
Il "David" di Michelangelo

Raffaello Sanzio: la pittura torna arte regina

L'arte sacra, a carattere religioso cristiano, sebbene ancora preponderante è affiancata da un improvviso e rapidissimo ritorno di fiamma per l'arte ellenica, che il ritrovamento del Laocoonte ha iniziato: artisti come Raffaello Sanzio (Urbino, 28 marzo o 6 aprile 1483 – Roma, 6 aprile 1520), pur non rifiutando le commesse del clero per i soggetti religiosi, ripresero a piene mani dalla mitologia greca per produrre autentici capolavori: la "Scuola d'Atene" nella Stanza della Segnatura affrescata dal Sanzio risulta la summa del rispetto e dell'ammirazione degli artisti rinascimentali per la cultura dell'antica Grecia, rivista però con un gusto tipicamente umanista.

Raffaello dipingerà meravigliosi ritratti e stupende opere a soggetto sacro fino alla fine della sua breve vita terrena, divenendo uno dei maestri del Rinascimento.

La "Scuola d'Atene" di Raffaello Sanzio
La "Scuola d'Atene" di Raffaello Sanzio

Lorenzo il Magnifico ed il mecenatismo moderno

Il Rinascimento fu anche periodo di grandi mecenati, che finanziarono opere d'importanza incalcolabile: tra i tanti, uno dei più grandi fu Lorenzo di Piero de' Medici, detto il Magnifico (Firenze, 1º gennaio 1449 – Careggi, 8 aprile 1492), impareggiabile signore di Firenze, uomo dalla cultura sterminata, dalla visione e gestione politica sopraffina e, non di meno, capace di accentrare attorno a sé il meglio dell'intelligenza italiana del periodo.

La "Nascita di Venere" di Sandro Botticelli
La "Nascita di Venere" di Sandro Botticelli

Votato totalmente alla missione umanistica e uomo libero di pensiero, sotto la sua ala protettrice trovarono fortuna artisti del calibro di Antonio del Pollaiolo, Filippino Lippi, Sandro Botticelli, Donatello, Andrea del Verrocchio e non ultimo il giovane Michelangelo Buonarroti.

Alla morte del Magnifico e senza più la sua illuminante e scaltra guida, l'Italia tutta sprofondò in settant'anni di guerre e violenza disumana (le Guerre d'Italia del XVI secolo), con tutto il paese ridotto a campo di battaglia di Spagna e Francia: l'incapacità dei politici dell'epoca e le lotte fratricide per le beghe di potere (cosa evidentemente radicata da tempo secolare nella penisola) distrussero tutto il grande lavoro diplomatico di Lorenzo, portando le genti italiche alla povertà, alla fame ed a secoli di sottomissione agli stranieri.

I maestri del Rinascimento

La storia, si sa, è fatta dagli uomini.

Quella del Rinascimento è stata fatta da uomini straordinari, che hanno scandito per oltre un secolo non solo la vita artistica d'Italia e d'Europa, ma hanno rivoluzionato completamente il concetto stesso di società.

Andiamo quindi a conoscere alcuni tra i più grandi protagonisti di un periodo storico irripetibile:

Leonardo da Vinci
Leonardo da Vinci

Tra i più grandi geni di tutta la storia umana, è stato pittore, architetto, ingegnere meccanico, scienziato, inventore, musicista ed anche anatomista.
Artista di rara capacità espressiva, a lui si deve l'invezione della cosidetta prospettiva aerea e la prima sperimentazione dei colori ad olio, tecnica non molto conosciuta ed utilizzata in Italia fino alla prima metà del '400.
Inventore dell'elicottero, del paracadute, della bicicletta, dell'obice e di tantissime altre invenzioni comunemente usate, fu il primo a studiare accuratamente la struttura degli uccelli, e ad intuire la forza che ne permette il volo (la portanza).
I suoi accurati atlanti anatomici umani furono la prima, vera enciclopedia anatomica disegnata con precisione scientifica, dopo un'attenta dissezione dei cadaveri.
Tra le sue opere pittoriche più famose, ricordiamo la "Monna Lisa", "L'Ultima Cena", la "Dama con l'Ermellino".

Raffaello Sanzio
Raffaello Sanzio

Pittore urbinate tra i più famosi del suo tempo, considerato tra i maestri inarrivabili di ogni epoca.
Di mano soave e raffinata, sono famosi i suoi ritratti e le sue interpretazioni dell'arte sacra, che gli fecero produrre opere del calibro di la "Trasfigurazione" e la famosissima "Madonna del cardellino" e i ritratti della sua musa prediletta, la celebre "Fornarina".
Celebri anche i suoi affreschi delle Stanze della Segnatura, con la pluri-citata e riprodotta "Scuola d'Atene".
Considerato maestro già da vivo (cosa rara per un artista), i suoi mondi onirici che anticipano di svariati secoli la metafisica sembrano quasi una rappresentazione divina che parla all'universo umano.
Morì purtroppo ancora giovanissimo di collasso, per un pesante ed inopportuno salasso dopo una notte brava passata al bordello.

Michelangelo Buonarroti
Michelangelo Buonarroti

Celebre ed osannato scultore, pittore ed architetto, tra i protagonisti indiscussi del Rinascimento.
Assieme a Leonardo e Raffaello, è considerato come l'artista più incisivo della storia dell'arte mondiale di ogni tempo, e questo già dovrebbe dare una misura dell'impatto del suo lavoro nella società nel corso dei secoli.
Tutto il suo lavoro è incentrato sulla figura umana, mettendo l'uomo al centro dell'universo: l'apoteosi dell'umanesimo, con un puro gusto ellenistico.
Tra le sue opere più celebri: la "Pietà", il "Mosè", il "David", la progettazione della cupola di San Pietro a Roma, la ristrutturazione del Campidoglio sempre a Roma, gli affreschi della Cappella Sistina e l'affresco del Giudizio Universale.
Morì ricchissimo e famosissimo, ancora con lo scalpello in mano: venne colto da un fatale colpo presumibilmente apoplettico mentre stava scolpendo la "Pietà Rondanini", opera lasciata incompiuta.
Il suo apporto alla storia non solo dell'arte, ma di tutto l'occidente non è calcolabile.

Tiziano Vecellio
Tiziano Vecellio

Maestro del colore veneziano, tra i massimi pittori di tutto il Rinascimento.
A differenza di Michelangelo fece dell'uso poliforme della tinta il suo cavallo di battaglia, che gli permise di produrre opere di una sensualità e di una raffinatezza estrema.
Tra i primi a creare una vera e propria industria artistica con una bottega iper-specializzata in cui lavoravano diverse maestranze, ha servito committenti in tutto il mondo allora conosciuto, divenendo l'artista più ricco del suo tempo.
Celebri sono le sue sensualissime donne, formose e con meravigliosi capelli rossi (il famoso 'rosso Tiziano'), considerate per secoli l'archetipo della bellezza femminile occidentale.
Morì vecchissimo nella grande pestilenza del 1576, lasciando in eredità al suo stolto figliolo Pomponio un immenso patrimonio, che lo sciagurato mal seme dilapiderà in soli cinque anni.

Sandro Botticelli
Sandro Botticelli

Grande artista fiorentino al servizio dei Medici e del Magnifico signore di Firenze, dall'incredibile capacità espressiva e dall'eccellente uso della visione prospettica.
Definito da molti 'l'architetto dei pittori' per la sua innata capacità di partizionare perfettamente e con non comune armonia il campo visivo, delle sue opere sono particolarmente famose quelle della cosiddetta 'serie mitologica', di cui fa parte la famosissima "Nascita di Venere": la dea dipinta da Sandro (in realtà, una modella incinta) diventerà lo stereotipo della figura femminile ideale dell'occidente fin quasi ai giorni nostri.
Caduto in disgrazia dopo la morte del suo signore Lorenzo de' Medici, passò gli ultimi anni della vita nella solitudine e nella povertà, col suo nome offuscato da quello di Michelangelo e della 'nuova guardia' rinascimentale.

Sandro Botticelli
Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello

Impareggiabile scultore e orafo fiorentino, tra i primi a dar vita a quell'enorme movimento artistico e sociale che prenderà il nome di Rinascimento.
Le sue opere sono caratterizzate da una profonda introspezione e un raffinatissimo equilibrio estetico, e sono spesso considerate lo spartiacque tra la fine del medioevo e l'inizio del periodo rinascimentale.
Donatello riuscì ad accoppiare trionfalmente l'amore per i classici canoni del passato con il sentimento di rinnovamento della Firenze d'inizio Rinascimento, e per questo diventò famoso e ricco.
Artista di rara intelligenza, in perenne mutamento, stravolse quasi completamente la sua opera nel suo tardo periodo, quando cominciò la produzione di sculture a tratti angoscianti, crude e quasi sgraziate nel loro dolore, che molti storici vedono addirittura come una straordinaria forma espressiva che si ritroverà solo con le avanguardie del primo '900.

L'arte barocca

Alla fine del XVI secolo, dopo settant'anni d'orribili guerre tra Spagna e Francia combattute nel proprio territorio, l'Italia era politicamente e militarmente a pezzi, nel verso senso della parola: la pace firmata a Cateau-Cambrésis nel 1559 mise fine alle ostilità delle due potenze europee, ma lasciò la penisola italiana nella miseria e nella devastazione più totale.

La situazione non era molto migliore per la Francia, la sconfitta per eccellenza: perduti molti territori chiave e costretta ad un grande ridimensionamento in favore della nuova superpotenza spagnola, ai suoi confini vedeva anche la spinta incessante della feroce riforma protestante avviata da Martin Lutero, che a fine '500 si era già espansa nella Scandinavia, in molte parti della Germania e nei Paesi Bassi.

In questo contesto, abbastanza instabile, dopo la Controriforma la Chiesa Cattolica decise di usare tutti i mezzi a disposizione per richiamare a sé quanti più fedeli fosse stato possibile, usando come esca principale proprio l'arte.

Il messaggio era chiaro e semplice: tutti si dovevano salvare (spiritualmente parlando), nessuno escluso; o ci si salvava tutti, o non si sarebbe salvato nessuno.

Per far recepire al meglio ciò, fu prodotta una quantità enorme di opere faraoniche, iper-sfarzose e di enorme impatto visivo, atto ad accogliere il fedele, riportarlo alla madre Chiesa e distoglierlo dalle sirene del protestantesimo.

Questa concezione artistica, applicata ad ogni arte visiva o plastica, è chiamata barocco: è un tripudio di sfarzosità, di teatralità e d'impatto scenico immediato, volto a catturare a prima vista lo spettatore e ad impressionarlo al punto tale da rimanere quasi 'intrappolato' dalla bellezza.

Lo sfarzo e l'abbondanza delle carni ritratte da Rubens
Lo sfarzo e l'abbondanza delle carni ritratte da Rubens

Rubens e la fantastica abbondanza della carne

All'inizio del 1600, c'è un nuovo mondo tutto da conquistare: si tratta delle Americhe, le cui spedizioni coloniali cominciano a portare le prime, enormi ricchezze ai paesi che si sono tuffati per primi nell'esplorazione delle nuove terre: Spagna, Inghilterra, Portogallo ed Olanda sono le nazioni che traggono più benefici dal Nuovo Mondo, e il mistero che avvolge il nuovo continente, compresi gli usi ed i costumi delle popolazioni indigene, affascina sia letterati che artisti.

Tra i primissimi pittori che trassero beneficio dalla nuova corrente barocca, ci fu il fiammingo Pieter Paul Rubens (Siegen, 28 giugno 1577 – Anversa, 30 maggio 1640).

La sua pittura opulenta, ricca e sfarzosa, rappresenta il tutto l'estremo che può dare l'influenza di un periodo in cui bisogna necessariamente ostentare.

Le sue donne sono carnose, sensuali, a tratti anche ben più che morbide: sono la ricchezza, il benessere, il piacere del classico misto alle forme estese, dilatate, in una sorta di ebbrezza dei sensi che sarà un po' il motivo principale di tutto il '600.

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio
Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio

Michelangelo Merisi

Quasi per contrasto, contemporaneamente a Rubens in Italia c'è un pittore tormentato, cupo, dalla condotta di vita abbastanza dissoluta e sempre sul filo della legalità: è Michelangelo Merisi, ribattezzato poi dai posteri il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610).

La pittura del Caravaggio è al paragone di una scheggia impazzita considerando il periodo storico in cui essa produceva i suoi frutti: il Merisi era il pittore del popolo, e dalla gente comune esso traeva spunti e linfa per le sue opere, quasi fosse il divino una diretta emanazione del terreno, e non viceversa.

Corpi gonfi, poco sbarbati, dai vestiti logori, immersi in una luce con ombre ad altro contrasto, abitudine di ritrarre presa nei soventi tempi trascorsi in galera, al lume delle lanterne.
Pluri-assassino e con una condanna a morte emessa dal Papa pendente sulla sua testa,

Caravaggio morì giovanissimo per un'infezione intestinale probabilmente trascurata, non liberandosi mai quindi del suo tormento esistenziale, che lo accompagnò fino al fato comune che lo raggiunse a Porto d'Ercole.

L'uomo che stravolse l'Europa: Gian Lorenzo Bernini

Mentre il Merisi moriva nell'indifferenza generale, a Roma un architetto e scultore napoletano stava invece facendo la sua fortuna, riprogettando interamente l'architettura e l'urbanistica della Città Eterna: Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 7 dicembre 1598 – Roma, 28 novembre 1680) è l'esponente di spicco di tutto il barocco, l'artista il cui palco di scena è stato addirittura un'intera città.

Caravaggio - "I bari" - 1596
Caravaggio - "I bari" - 1596

Con il Bernini, l'arte barocca vive il suo massimo splendore: la teatralità è iper-esaltata, e la scultura rinasce dalle radici elleniste per trasformarsi in una gigantesca rappresentazione scenica in cui lo spettatore è obbligato ad essere parte del progetto.

Opere monumentali come la "Fontana dei Quattro Fiumi" a Piazza Navona e l'intero colonnato di piazza San Pietro a Roma forniscono subito un chiaro quadro dell'arte del Bernini, in grado di stupire a colpo d'occhio anche il meno raffinato osservatore.

Gian Lorenzo Bernini - Colonnato di Piazza San Pietro
Gian Lorenzo Bernini - Colonnato di Piazza San Pietro

Il gusto neoclassico è esasperato nella sua perfetta armonia e bellezza nel ritrarre i grandi miti greci: il "Ratto di Proserpina", il "David", "Apollo e Dafne" non hanno nulla da invidiare ai capolavori di Fidia, eppure non sono mere copie di un glorioso passato, ma opere che vivono del loro tempo e del loro ossessivo auto-compiacimento, sentimento che evidentemente il Bernini provava innato in ogni sua creazione.

Gian Lorenzo Bernini - Fontana dei Quattro Fiumi - Piazza Navona, Roma
Gian Lorenzo Bernini - Fontana dei Quattro Fiumi - Piazza Navona, Roma

Bernini modificherà pesantemente il tessuto urbano di Roma, con risultati evidenti e tangibili ancora ai giorni nostri; non di meno, l'artista napoletano diventerà un vero e proprio mito già da vivo, con effetti consistenti su tutta l'arte dei secoli a venire.

Gian Lorenzo Bernini - Fontana del Tritone - Piazza Barberini, Roma
Gian Lorenzo Bernini - Fontana del Tritone - Piazza Barberini, Roma

Il barocco piacerà moltissimo alle genti del periodo, che lo consacreranno come uno degli stili più amati di sempre, tanto da durare una considerevole quantità di tempo (ben oltre il secolo), e di trasformarsi poi nella sua forma estrema, chiamata rococò e che dominerà tutto il '700.

L'arte moderna e la fine dei canoni

Nel 1863, il pittore francese Édouard Manet (Parigi, 23 gennaio 1832 – Parigi, 30 aprile 1883) presentò al "Salon" del Louvre di Parigi un quadro che subito diventò un ogetto di scandalo: era il famoso "Colazione sull'erba", considerato il primo dipinto moderno della storia dell'arte.

I motivi dello scandalo creato dall'opera oggi farebbero solo sorridere, ma all'epoca la cosa creò un certo clamore: v'era una donna nuda nel quadro.

Edouard Manet - Colazione sull'erba - 1863
Edouard Manet - Colazione sull'erba - 1863

Ora, considerando che, come abbiamo visto in precedenza, da millenni gli artisti ritraggono donne ed uomini nudi e con genitali inclusi senza crearsi troppi problemi di sorta nel farlo, detta così la cosa in effetti non avrebbe senso.

Quello che la critica dell'epoca considerava scandaloso (e di pessimo gusto) era il fatto che il soggetto non era né a carattere sacro, né mitologico: la donna raffigurata, piuttosto in carne come piaceva all'epoca, semplicemente era seduta sull'erba durante un pic-nic, in compagnia di due uomini vestiti con gli abiti dell'epoca.

Nulla di anormale, in effetti.

Proprio questa mancanza di anormalità, ovverosia che un artista, per la prima volta, avesse voluto rappresentare la realtà della vita di tutti i giorni, osando anche mischiarla al sacro nudo femminile caro ai maestri del passato, fu vista come un'eresia, e perciò duramente criticata.

In realtà il dipinto è forse la prima opera pre-impressionista della storia: c'è tutto un mondo nel piccolo quadro, compresa una natura morta e spiccati richiami all'arte classica.
Manet è quindi considerato il padre dell'arte moderna, dando vita al cosidetto 'realismo', ossia la tendenza a ritrarre episodi della vita di tutti i giorni, e non solamente opere a sfondo sacro o mitologico.

Un po' come tentò di fare Caravaggio nella sua breve esistenza, solamente con gli standard visivi (e concettuali) di quasi tre secoli dopo.

La pittura di Manet è quindi di fondamentale importanza per comprendere il brusco passaggio dalla vecchia maniera alla nuova concezione dell'arte; cosa che si sarebbe avverata di lì a poco, con l'avvento degli impressionisti.

Gli impressionisti ed i macchiaioli

L'opera di Manet "Colazione sull'erba", come sopra narrato, fu abbastanza criticata durante la sua presentazione al famoso "Salon", l'esposizione periodica che si svolgeva organizzata al Louvre di Parigi.

Abbastanza rivoluzionaria per l'epoca, fu esclusa dalla partecipazione alla mostra.

Questo fatto spinse Napoleone III, sovranno abbastanza illuminato e ben ricettivo delle nuove correnti artistiche ed umanistiche, ad istituire l'alternativo "Salon des Refusés" (Salone dei rifiutati), dove andarono in esposizione per l'appunto tutte le opere rifiutate dalla giuria del "Salon".

Questo fatto è da molti considerato come la nascita dell'arte moderna, in quanto segno di rottura con il passato.

Claude Monet - I Papaveri - 1873
Claude Monet - I Papaveri - 1873

Di lì a pochi anni si sarebbe formato il movimento cosidetto 'impressionista', dal nome mutuato da un dipinto di Claude Monet (Parigi, 14 novembre 1840 – Giverny, 5 dicembre 1926) intitolato "Impressione, levar del sole".

Segno distintivo dell'impressionismo è, come peraltro la parola lascia intuire, cogliere al volo l'impressione di un momento, per fissarlo sulla tela.

Questo fatto comporta una necessaria grande rapidità di disegno a mano libera, un eccellente uso del colore senza imprimiture o linee preparatorie e, ovviamente, considerevole velocità d'esecuzione.

Solitamente i grandi maestri dell'impressionismo potevano iniziare e finire un quadro in soli 15 minuti, ed il genere trovò subito ampio consenso tra la borghesia del periodo, che adorava adornare i propri salotti con i quadri di questi nuovi artisti così dirompenti.

Edgar Degas - L'attesa - 1880
Edgar Degas - L'attesa - 1880

Sebbene la pittura veloce e di getto, giocoforza, costringa a soffermarsi sulla visione globale tralasciando i particolari (la campitura del colore alla prima velata diventa una tecnica necessaria per finire un quadro in breve tempo), questo metodo però risulta particolarmente adatto ad esprimere non solo il fermo dell'immagine, ma anche la particolare sensazione dell'artista.

Questo concetto risulterà poi essenziale nello sviluppo dell'espressionismo di qualche decennio più avanti.

Anche in Italia l'impressionismo fece breccia, sviluppandosi in una particolare corrente che però univa la rapidità d'esecuzione al gusto tipicamente italiano della maniera: sono i pittori detti 'Macchiaioli', proprio per via delle loro esecuzioni, formate da tante macchie di colore che, sapientemente accorpate, davano l'idea della forma e del paesaggio.

La fotografia e l'inizio dell'espressionismo

In una riunione del 6 gennaio 1839 Louis-Jacques-Mandé Daguerre (Cormeilles-en-Parisis, 18 novembre 1787 – Bry-sur-Marne, 10 luglio 1851) presentò Accademia delle Scienze e dell'Accademia delle Belle arti di Parigi un innovativo procedimento da lui inventato per 'dipingere con la luce'.

La relazione tecnica, con cui Daguerre spiegava il funzionamento ottico dell'impressione dell'immagine grazie ai fotoni, fu accolta con una entusiasta presentazione dal pittore realista Paul Delaroche (Parigi, 17 luglio 1797 – Parigi, 4 novembre 1856), che sottolineava per primo le enormi potenzialità della nuova tecnologia, che prese il nome di 'dagherrotipo', proprio in omaggio al suo inventore Daguerre.

Louis Jacques Mandé Daguerre - L'Atelier dell'artista - 1837
Louis Jacques Mandé Daguerre - L'Atelier dell'artista - 1837

Di lì a poco, la fotografia (ovverosia, 'scrivere con la luce') diventerà popolarissima in tutto il mondo, dapprima come utile mezzo per i rilievi paesaggistici ed architettonici, e poi come vera e propria forma d'arte, da consumarsi a costo contenuto per qualsiasi strato sociale della popolazione.

Con i ritratti fotografici però venne meno una delle millenarie funzioni della pittura e della scultura, ossia il raffigurare ciò che è reale; alla fine dell'800 la tecnica fotografica era già talmente progredita da rendere accessibile per tutti un ritratto, sopperendo quindi all'esigenza di commissionare un quadro od un busto ad un artista, attività da sempre appannaggio solo delle classi sociali più ricche, per via degli altissimi costi di realizzo.

In questo contesto, la pittura venne duramente colpita proprio in uno dei suoi cavalli di battaglia, che aveva da millenni assicurato il pane quotidiano agli artisti.

Ciò fece necessariamente iniziare un periodo di riflessione in tutto il mondo artistico europeo, con l'intenzione di trovare nuovi sblocchi creativi che permettessero la sussistenza stessa della pittura.

Paul Gauguin e la vittoria dello spirito sulla materia

Cominciò così, verso la fine dell'800, un nuovo sentimento spinto un po' dall'innovazione dell'impressionismo, ed un po' dalla volontà di andare oltre a quello che l'occhio dell'obiettivo della fotocamera poteva immortalare.

Le emozioni percepite dall'artista, con tutto il suo bagaglio d'esperienza e, spesso, di sofferenza cominciarono a prendere sempre più importanza rispetto al mero raffigurare della realtà.

Paul Gauguin, Il Cristo giallo, olio su tela, cm 92x73 cm, 1889, Albright-Knox A. G., Buffalo
Paul Gauguin, Il Cristo giallo, olio su tela, cm 92x73 cm, 1889, Albright-Knox A. G., Buffalo

Paul Gauguin (Parigi, 7 giugno 1848 – Hiva Oa, 8 maggio 1903) è sicuramente tra i primi artisti a scrollarsi di dosso qualsiasi ultimo retaggio della maniera, e della pittura antica: le sue opere multicolorate e di dirompente impatto visivo segnano un ritorno ai primordi del segno, presentando una delle prime dimostrazioni pratiche della vittoria dello spirito sulla pura forma.

Paul Gauguin, Due donne tahitiane sulla spiaggia, 1891, cm 69x91, olio su tela, Museo d’Orsay, Parigi
Paul Gauguin, Due donne tahitiane sulla spiaggia, 1891, cm 69x91, olio su tela, Museo d’Orsay, Parigi

I soggetti sono reali, banali, decontestualizzati sino a diventare quasi una lacerazione dell'anima; in poche parole, con Gauguin nasce l'espressionismo, ovverosia quella corrente artistica che permetterà di slegare il mero soggetto dal messaggio, lasciando campo libero all'immaginazione dell'artista.

Vincent Van Gogh - "Notte Stellata", 1889, cm 73X92, olio su tela, Museum of Modern Art, New York
Vincent Van Gogh - "Notte Stellata", 1889, cm 73X92, olio su tela, Museum of Modern Art, New York

Vincent Willem van Gogh (Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) è il pittore che, come Gauguin ma con forse ancora più drammaticità, trasforma le sue opere in puro colore angosciato dalla sua mente turbata: completamente ignorato in vita, diventerà negli anni uno dei pittori più famosi di tutti i tempi, con quotazioni assurde per i suoi dipinti.

Le avanguardie del XX secolo

Nella Parigi d'inizio '900, senza dubbio divenuta il nuovo centro mondiale dell'arte, le idee dei giovani artisti eredi spirituali dei grandi impressionisti dell'800 erano in costante tumulto.

Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa (Albi, 24 novembre 1864 – Saint-André-du-Bois, 9 settembre 1901) aveva dimostrato per primo come la pittura potesse adattarsi perfettamente alle nuove tecnologie, spianando la strada alle arti visive applicate, che nel giro di pochi decenni sarebbero state usate per costruire l'enorme mercato della pubblicità.

Henri de Toulouse-Lautrec - "A la mie" - 1891
Henri de Toulouse-Lautrec - "A la mie" - 1891

Tra i tanti italiani espatriati nella capitale francese, particolarmente importante fu Amedeo Clemente Modigliani (Livorno, 12 luglio 1884 – Parigi, 24 gennaio 1920) che, seppur morto giovanissimo, in poco tempo diventerà uno degli esponenti di riferimento per la nuova corrente artistica d'inizio secolo.

Geniale quanto socialmente disadattato, Modigliani seppe coniugare la raffinatezza espressiva con una pittura di getto, veloce e di rapidissima esecuzione, che al contrario degli impressionisti non mirava però a riprodurre un frammento temporale, bensì uno emozionale.

Pittore dalla mano soave e dalle linee pulite ed incredibilmente aggraziate, Modigliani ebbe pochissima fortuna nella sua breve vita, conclusa all'età di 35 anni, stroncata dagli abusi di alcool, droghe e dalla tubercolosi.

La raffinata eppur incisiva pittura di Modigliani anticipa le espressioni Cubiste
La raffinata eppur incisiva pittura di Modigliani anticipa le espressioni Cubiste

Più o meno parallelamente al lavoro di Modigliani, un giovane pittore francese, Georges Braque (Argenteuil, 13 maggio 1882 – Parigi, 31 agosto 1963) ed un estroso ragazzo spagnolo emigrato in Francia chiamato Pablo Ruiz y Picasso (Malaga, 25 ottobre 1881 – Mougins, 8 aprile 1973), prendendo a piene mani dall'arte primitiva africana, fonderanno un movimento destinato a divenire una delle icone del nuovo secolo: il cubismo.

Georges Braque - "Strumenti musicali" - 1908
Georges Braque - "Strumenti musicali" - 1908

Il cubismo

Il cubismo fu un movimento abbastanza poliedrico e variegato, che attraversò tre fasi ben distinte tra di loro: la fase formativa, ossia l'inizio delle sperimentazioni su forme semplificate e volumi coerenti; la fase analitica, dove i soggetti sono scomposti e raffigurati da differenti angolazioni, sperimentando differenti punti di vista e rendendo la figura abbastanza indecifrabile; il cubismo sintetico, ultima fase dove la rappresentazione dei soggetti è ripetitiva, con uso spregiudicato del colore e piani molto larghi, con sovente innesto, su tela, di elementi esterni al puro pigmento, come collage di carta, giornali vari, carte da gioco, ecc ecc.

Pablo Picasso - "Guernica" - 1937
Pablo Picasso - "Guernica" - 1937

Picasso diventerà uno degli artisti simbolo del XX secolo, vivendo una vita molto lunga e famosa, con le sue opere che diventeranno enormemente costose, ben più di qualsiasi altro artista suo contemporaneo.

L'opera cubista è di fondamentale importanza nella storia dell'arte: assieme al lavoro dei futuristi, segna il definitivo distacco dalla pittura ottocentesca e l'inizio di quella che è chiamata arte contemporanea, ossia l'ultimo grande periodo artistico attualmente in essere.

Il Futurismo

Il 20 febbraio del 1909 sul famoso quotidiano francese "Le Figaro" venne pubblicato il "Manifesto del Futurismo" scritto da Filippo Tommaso Marinetti (Alessandria d'Egitto, 22 dicembre 1876 – Bellagio, 2 dicembre 1944).

Nel manifesto, l'artista esponeva quello che era sotto gli occhi di tutti ad inizio secolo: un progredire inarrestabile della scienza e della tecnica, che aveva - peraltro in pochissimo tempo - stravolto lo stile di vita di tutti i popoli, a prescindere dal loro ceto e dalla loro condizione sociale.

Era quindi il tempo, anche per l'arte (qualsiasi tipo d'arte) di evolversi anch'essa, come uno strale proiettato verso il futuro.

Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini a Parigi per l'inaugurazione della prima mostra Futurista del 1912
Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini a Parigi per l'inaugurazione della prima mostra Futurista del 1912

V'è da dire che la visione del Marinetti era coerente col periodo storico in quale viveva: in pochi decenni la rivoluzione industriale aveva completamente ribaltato millenni di agricoltura-artigianato (il binomio inossidabile con il quale l'Homo Sapiens è sopravvissuto sin dai primi stadi della sua storia sociale), e nuove invenzioni avevano peraltro cambiato il concetto di 'distanza' tra le genti: l'aeroplano, la radiocomunicazione, la ferrovia, le prime automobili con motore a combustione interna, la bicicletta, la fotografia e la nascente cinematografia.

Umberto Boccioni - "La risata" - 1911
Umberto Boccioni - "La risata" - 1911

Delle novità veramente epocali, in un contesto politico poi abbastanza tumultuoso: il residuo degli imperi centrali europei e la cariatide di quello ottomano sarebbero stati pronti, di lì a poco, a scatenare la Grande Guerra, mentre gran parte della popolazione mondiale era ancora analfabeta.

Il Futurismo si prefiggeva quindi di sbaragliare gli ultimi residui del romanticismo del passato, per percorrere quindi l'unica strada ritenuta possibile, ovverosia quella del progresso ad oltranza.

Il movimento ebbe grande eco internazionale, coinvolgendo non solo la pittura, ma tutte le altre arti: scultura, poesia, fotografia e persino la nuova cinematografia.

Giacomo Balla - "Automobile in corsa" - 1913
Giacomo Balla - "Automobile in corsa" - 1913

Il Futurismo fu talmente importante che riuscì a scardinare completamente i cardini ottocenteschi della tarda maniera, con un incredibile richiamo nella società, specialmente nell'urbanizzazione delle città e, non di meno, nella nascente promozione pubblicitaria.

Tra gli esponenti di rilievo del movimento spiccarono artisti del calibro di Fortunato Depero, Francesco Cangiullo, Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Antonio Sant'Elia, Yakov Chernikhov, Robert Delaunay, Aleksandr Michajlovič Rodčenko.

L'arte che fa pubblicità: Fortunato Depero per una campagna della Campari
L'arte che fa pubblicità: Fortunato Depero per una campagna della Campari

Il Futurismo ben più del Cubismo fu il primo movimento di fortissima rottura con il passato: molte innovazioni introdotte dall'avanguardia sono riscontrabili ancora oggi nella società e nel mondo di vivere contemporaneo, e si può quindi ben dire che il movimento è stato uno dei cardini fondamentali della storia dell'arte mondiale.

In Italia, sebbene il Futurismo abbia modificato pesantemente tutta l'architettura e l'arte del primo trentennio del 1900, producendo opere di incredibile valore e di grande bellezza, l'avanguardia fu boicottata subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, in quanto ritenuta - scioccamente - arte indissolubilmente legata al passato regime fascista.

Questo fatto ne ha decretato una specie di 'Damnatio Memoriae' che è durata per oltre sessant'anni, e solo in tempi recenti s'è conclusa: la morte fisica degli storici dell'arte asserviti al Partito Comunista Italiano che hanno boicottato l'incredibile lavoro di Marinetti e compagni, unita alla necessità di riscoprire immensi capolavori (anche sotto il punto di vista economico) dell'arte italiana ha finalmente fatto cessare l'ingiusto boicottaggio.

Il Dadaismo

Nell'Europa in piena Prima Guerra Mondiale, nella neutrale Zurigo un gruppo di artisti antibellici sviluppò un movimento non di rottura col passato, ma di annichilimento dello stesso: il Dadaismo.

Derivato dalla parola 'Dada', dal significavo volutamente inesistente, gli artisti che v'aderirono avevano un unico scopo: distruggere qualsiasi canone o standard dell'arte, anche in maniera violenta se necessario.

A differenza del Futurismo, che invece imponeva una rottura con la vecchia maniera ma non ne auspicava l'oblio dai libri di storia, il Dadaismo rifiutava categoricamente qualsiasi arte fatta dall'uomo sino a quel momento, imponendone la necessaria dissoluzione.

Per far ciò, l'arma principale usata dai dadaisti fu una progressiva e continua messa alla berlina dei canoni secolari, con una produzione di opere spesso grottesche e dissacranti, che si facevano beffe dell'arte con la produzione di altra arte.

Marcel Duchamp - "Fontana" - 1917
Marcel Duchamp - "Fontana" - 1917

Del movimento, esteso non solo alle arti visive ma un po' a tutte le arti in generale, fecero parte Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 28 luglio 1887 – Neuilly-sur-Seine, 2 ottobre 1968), Tristan Tzara (Moinești, 16 aprile 1896 – Parigi, 25 dicembre 1963), Richard Huelsenbeck (23 aprile 1892 – 20 aprile 1974).

Il movimento ebbe vita molto breve, e d'altronde non poteva essere altrimenti: già nel 1920 gran parte dei suoi esponenti avevano virato verso altre tendenze, come Duchamp che s'impegnò dapprima nel Surrealismo e poi nell'arte concettuale.

L'arte popolare

Alla fine degli anni '40 del 1900, il mondo era profondamente mutato: il secondo conflitto mondiale aveva decretato la nascita di due nuove superpotenze assolute, socialmente, eticamente ed economicamente contrapposte tra di loro.

Gli Stati Uniti d'America e l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si erano spartito il mondo de facto, creando due blocchi contrapposti dalla natura inconciliabile: il blocco occidentale, aperto all'economia di mercato, e quello comunista, totalmente chiuso a riccio e dall'economia coatta, controllata dagli stati centrali e quasi totalmente nazionalizzata nei settori chiave.

Marylin Monroe di Andy Warhol
La riproduzione di icone popolari e facilmente riconoscibili dalla gente è una delle caratteristiche essenziali della Pop-Art: i molteplici ritratti in serigrafia di Marylin Monroe di Andy Warhol ne sono un esempio perfetto

Questo stato delle cose sarebbe durato per oltre cinquant'anni, cambiando profondamente gli stili di vita dei popoli e, di conseguenza, le loro produzioni artistiche.

Il blocco occidentale si avviò ben presto alla deriva consumista: l'iper-produzione industriale ed il sempre più conveniente ed abbondante approvvigionamento di materie furono elementi essenziali per un rush economico incredibile, che stravolse completamente il quotidiano della gente.

Roy LichtensteinLa narrativa per immagini (fumetti) diventa genere perfetto per la Pop-Art, in quanto facilmente distinguibile e dalla grande diffusione di massa: Roy Lichtenstein ha riprodotto una quantità enorme di scene di fumetto nei suoi dipinti

L'America come nuovo centro artistico mondiale

In questo contesto anche l'arte subì una profonda revisione, in pressoché ogni genere: la musica subì forse il cambiamento più grande, con lavvento dei nuovi generi che, di lì a pochi anni, avrebbero dominato la scena per molto tempo.

Il 'Rock 'n Roll' cominciò l'ascesa irrefrenabile tra i giovani, per poi estendersi a pressoché tutte le fasce della popolazione, mentre la pittura cominciò ad essere decontestualizzata, con la spaccatura totale tra significato e significante delle opere, peraltro già cominciata da Marcel Duchamp e dai Dadaisti qualche decennio prima.

La decontestualizzazione degli oggetti di vita comune, prodotti in grandi quantità industriali e dal valore intrinseco basso ma dall'enorme consumo collettivo è la chiave di volta per un nuovo movimento artistico che prenderà il nome di 'pop-art', contrazione di 'popular art', ovverosia arte popolare.

Robert Rauschenberg - "Story" - 1964
Robert Rauschenberg - "Story" - 1964

I primi artisti ad abbracciare la nuova corrente, che vedrà il suo centro culturale ed economico sposato da Parigi a New York, sono Andy Warhol (Pittsburgh, 6 agosto 1928 – New York, 22 febbraio 1987), Roy Fox Lichtenstein (New York, 27 ottobre 1923 – New York, 29 settembre 1997), l'italiano Mario Schifano (Homs, 20 settembre 1934 – Roma, 26 gennaio 1998) e, sebbene non vi abbia mai aderito formalmente, anche Robert Rauschenberg (Port Arthur, 22 ottobre 1925 – Captiva Island, 12 maggio 2008).

La riproduzione iconica tipica della Pop-Art è accompagnata dalla pittura spontanea e di getto nelle opere di Mario Schifano
La riproduzione iconica tipica della Pop-Art è accompagnata dalla pittura spontanea e di getto nelle opere di Mario Schifano

Nata in Gran Bretagna come evoluzione del Dadaismo, da cui però si discosterà ben presto in maniera netta e marcata, l'arte pop troverà negli Stati Uniti la sua casa ideale, divenendo in breve una delle forme artistiche più famose del XX secolo.

L'arte concettuale

Nel 1965, Joseph Kosuth (Toledo, 31 gennaio 1945) propose un'opera destinata a suscitare abbastanza scalpore "Una e tre sedie".

L'opera si componeva di una vera sedia, una sua riproduzione fotografica ed un pannello con una scritta 'sedia'.

La strana installazione avrebbe dato il via a circa un ventennio di produzioni analoghe, dove il concetto espresso dall'autore era molto più importante della sua mera rappresentazione visiva (o plastica), basata su un ormai aleatorio canone estetico.

Piero Manzoni e la sua "Merda d'artista"
Piero Manzoni e la sua "Merda d'artista"

Era nata l'arte concettuale, ovverosia l'arte dove il pensiero umano era già inteso come massima espressione artistica possibile, senza bisogno di virtuosismi tecnici.

Perfetta conclusione delle avanguardie d'inizio secolo, in specialmodo di quelle più dirompenti e distaccate dal passato come Futurismo e Dadaismo, l'arte concettuale fu estremamente popolare fino alla metà degli anni '80, quando il mercato subì un violento (e brusco) ritorno alla pittura.

Tra i tanti artisti che hanno abbracciato l'arte concettuale, vale la pena ricordare almeno: Gino de Dominicis (Ancona, 1º aprile 1947 – Roma, 29 novembre 1998), Alighiero Boetti (Torino, 16 dicembre 1940 – Roma, 24 aprile 1994), Yves Klein (Nizza, 28 aprile 1928 – Parigi, 6 giugno 1962), Piero Manzoni (Soncino, 13 luglio 1933 – Milano, 6 febbraio 1963).

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