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Paul Gauguin e la sifilide polinesiana

Paul Gauguin
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Paul Gauguin nacque a Parigi il 7 giugno del 1848 dal giornalista liberale francese Clovis Gauguin e da Aline Marie Chazal, figlia dell'incisore francese André Chazal e famosa femminista Flora Tristan.

Trascorse i primi anni della sua vita in Perù, dove la sua famiglia si trasferì per un breve periodo dopo aver lasciato Parigi per motivi politici.

Qui vissero fin quando il padre morì e la madre ormai vedova, ritornò in Francia con i figli, precisamente a Orleans, dove furono ospitati da alcuni parenti.

Le immagini ed i colori del Perù influenzeranno molto la sua arte, ed anche questo continuo peregrinare e la mancanza di radici precise possono ben giustificare quella propensione alla vita vagabonda da sradicato esaltata nelle sue opere, soprattutto negli sguardi enigmatici dei ritratti, nelle scelte compositive e iconografiche che danno un’idea della sua personalità.

All’età di 23 anni lascia Orleans per tornare a Parigi nel 1871 dove cominciò a dipingere da autodidatta ed a interessarsi all’arte.

La città era molto vivace dal punto di vista culturale e vi si respirava un’atmosfera di benessere: in questi anni incontrò la sua futura moglie Mette Sophie Gad, una cittadina danese, dalla quale avrà cinque figli: Émile (1874), Aline (1877-1897), Clovis (1879-1900), Jean-René (1881) e Paul, chiamato anche Pola (1883-1961).

Anche Jean-René e Pola seguiranno, dopo la morte del padre, la carriera artistica.

Tous le bateaux vont à l'hazard pour rien.

A partire dal 1874 comincia il suo periodo impressionista che dura fino al 1887, durante il quale si iscrive all'Accademia Colarossi e comincia a frequentare il pittore impressionista Camille Pissarro.

Con gli impressionisti comincia ad esporre a partire dal 1879 fino all’anno successivo.

Alla quinta mostra del gruppo si fa notare con "Nudo di donna che cuce", dove dipinge con pennellate ondulate una donna del suo tempo mentre sta cucendo, in una stanza dove manca il senso di profondità.

Il risultato è che il nudo appare come ritagliato e non opportunatamente collocato sul piano di fondo.

I fianchi larghi e i seni prosperosi non lasciano spazio a misure contenute: la donna è seduta su un letto e appare non collocata sullo sfondo.

Paul Gauguin, Nudo di donna che cuce, olio su tela, cm 115 x 80, 1880, Ny Carlsberg, Copenaghen
Paul Gauguin, Nudo di donna che cuce, olio su tela, cm 115 x 80, 1880, Ny Carlsberg, Copenaghen

Nonostante la partecipazione al movimento impressionista egli se ne distaccò per ricercare una pittura che fosse più astratta, formata da puro colore, linee e forme piatte, con la rinuncia della prospettiva e gli effetti di luce e ombra.

Questo suo stile venne in seguito chiamato sintetismo o cloisonnisme, movimento post-impressionista che prevedeva l’utilizzo di campiture di colore senza usare sfumature.

Dai primi autoritratti del 1877 si arriva a quelli del 1888, diventati vere e proprie maschere ispirate sia al mondo giapponese che alla scultura primitiva.

Nell’"Autoritratto (I miserabili)" del 1888 si manifesta la sua adesione alla pittura astratta, e allo stesso tempo esprime il senso di inadeguatezza alla società borghese, che gli aveva negato di rinnovare le esposizioni impressioniste, e dalla quale si sentiva 'bandito'.

Gli occhi, il naso e la bocca sono dipinti come fossero dei fiori di tappeti persiani, con un significato simbolico.

Paul Gauguin, Autoritratto (I miserabili), 1888, olio su tela, cm 45 x 55, Van Gogh Museum, Amsterdam
Paul Gauguin, Autoritratto (I miserabili), 1888, olio su tela, cm 45 x 55, Van Gogh Museum, Amsterdam

Il colore non ha nulla di naturale ed è racchiuso in contorni ben definiti, senza sfumature, come prevede la tecnica del cloisonnisme.

Due linee diagonali tagliano il quadro passando per il naso: una dall’angolo destro in alto prosegue per la blusa, e l’altra opposta taglia la figura lungo l’asse dell’ombra che separa il volto in due zone.

Lo sfondo è azzurro-verde per i due ritratti mentre per il resto è rivestito di un oro prezioso su cui campeggiano stampati fiori ispirati al mondo giapponese.

L’artista si ritrae al centro del quadro che è completamente vuoto, irreale, indefinibile, dove la testa e lo sguardo sono protagonisti.

Quella rappresentata sembra una figura ascetica, resa eterna dalle pennellate materiche e impetuose.

Questi ritratti rivelano il complesso mondo interiore di Gauguin, formato da due nature: quella indiana e quella sensitiva, come egli stesso le chiamava.

Paul Gauguin, Autoritratto con Cristo giallo, 1890-1891, Olio su tela, cm 30 x 46, Museo d’Orsay, Parigi
Paul Gauguin, Autoritratto con Cristo giallo, 1890-1891, Olio su tela, cm 30 x 46, Museo d’Orsay, Parigi

La sensitiva, afferma il pittore, è stata rimossa dall’indiana, legata al mondo primitivo dove la pittura diventa simbolica, essenziale, formata principalmente da linee com2e struttura primaria della realtà.

Tra il 1889 e il 1890 inizia a dipingere autoritratti religiosi come "Cristo nell’orto degli ulivi" e "Autoritratto con Cristo giallo".

In queste opere Gauguin si paragona alla figura del Cristo con il quale condivide il tema del martirio, in quanto lui stesso si sentiva martirizzato dalla società del suo tempo.

La sua ricerca pittorica tendente al simbolismo e all’astrattismo non aveva la giusta considerazione ed è per questo che egli si sentirà una sorta di 'messia incompreso'.

Nell’"Autoritratto con Cristo giallo", la figura di ceramica allineata alla destra del Cristo è molto simile al volto del pittore, raffigurato in primo piano.

Paul Gauguin, Van Gogh mentre dipinge i girasoli, 1888, cm. 73x91, Van Gogh Museum. Amsterdam
Paul Gauguin, Van Gogh mentre dipinge i girasoli, 1888, cm. 73x91, Van Gogh Museum. Amsterdam

Le due componenti, quelle del Cristo e del vaso di ceramica, rappresentano simbolicamente le due nature del pittore, quella sensitiva (Cristo) e quella primitiva (vaso in ceramica) che si manifestano nel quadro per denunciare le regole di una società che rifiutava l’origine e il primitivo.

Il fuoco con cui è forgiata la ceramica è paragonabile alla lava infuocata che accende l’animo del pittore. Nella sua ricerca scultorea mirata a produrre oggetti artisti dalle forme sintetiche e dai contorni netti, trova in seguito ispirazione nell’arte giapponese.

Segue il soggiorno in Bretagna, durante il quale diventa amico di Vincent Van Gogh, che ritrarrà in alcuni quadri: era infatti il 1888 quando Paul Gauguin aveva ritratto il suo amico Vincent mentre dipingeva un vaso di girasoli.

Quando Van Gogh vide il quadro, stupito ed offeso, esclamò: "Sono proprio io, ma diventato pazzo!".

Il loro rapporto è troppo conflittuale e finisce con una lite furibonda che porterà Van Gogh a tagliarsi un orecchio.

A Pont-Aven nel 1886 incontra il mondo giapponese, condiviso anche dallo stesso Van Gogh, che influenzerà la sua pittura così che tra il 1888 e il 1889 le sue nature morte, i paesaggi marini o la vita nei campi dipinta da Gauguin presenteranno rimandi alle xilografie giapponesi di Hokusai, Hiroshige e Kuniyoshi.

I contorni saranno perciò ridotti a poche linee e il colore sarà pesante e abbondante come nelle lacche giapponesi.

Guardate i giapponesi, che pure dipingono in modo ammirevole e vedrete una vita all’aria aperta e al sole, senza ombre. Usano i colori solo come combinazione di toni, di armonie diverse […] voglio staccarmi quanto più è possibile da qualsiasi cosa che dia l’illusione di un oggetto, e poiché le ombre sono il trompe-l’oeil del sole, sono propenso a eliminarle. Ma se una sfumatura entra nella composizione come forma necessaria, allora è diverso […] Così, mettete pure delle ombre, se le giudicate utili, oppure non le mettete: è la stessa cosa, se non siete schiavi dell’ombra. È piuttosto questa che deve essere al vostro servizio.

Nel quadro "Lotta tra i bambini", egli unisce al Giappone il selvaggio mondo del Perù, incastrando nel linguaggio puerile e decorativo dell’arte giapponese quello misterioso e rude delle civiltà scomparse.

Le ombre assenti, la luce esaltata e i colori puri sono caratteristiche che Gauguin riprende direttamente dalla pittura orientale.

Paul Gauguin, Lotta tra bambini, 1888, olio su tela.
Paul Gauguin, Lotta tra bambini, 1888, olio su tela.

Il tema della lotta deriva sempre dalle stampe giapponesi, egli infatti voleva dare l’idea di "una lotta di due ragazzotti vicino a un corso d’acqua del tutto giapponese per un selvaggio del Perù".

La realtà peruviana permette al pittore di inserire riferimenti autobiografici, simbolici da condividere con la società e gli altri artisti.

Questo periodo coincide con l’apertura a Parigi del museo etnografico allestito al Trocadero nel 1882, ricco di riproduzioni e manufatti provenienti dalle civiltà centroamericane atzeca, inca, maya che fornivano ulteriori stimoli al pittore.

Questa necessità di semplificazione delle forme trova libero arbitrio nella produzione di ceramiche a cui il pittore si dedica trovando ispirazione nelle produzioni precolombiane, nelle collezioni dei musei parigini o nei cataloghi.

Così Gauguin cominciò a produrre vasi dalle forme anomale e deformo ispirati al mondo primitivo del Perù antico, dell’Africa, dell’Asia, come dichiara il vaso disperso ma certo autografo ritratto nella "Natura morta con profilo di Charles Laval", dipinto nel 1886.

Paul Gauguin, Natura morta con profilo di Charles Laval, 1886, olio su tela, cm 46 x 38, Museum of Arts, Indianapolis
Paul Gauguin, Natura morta con profilo di Charles Laval, 1886, olio su tela, cm 46 x 38, Museum of Arts, Indianapolis

Per Gauguin la pittura doveva rifiutare ogni naturalismo, essere uno specchio del mondo interiore, tramite il colore innanzitutto, liberandosi delle tradizioni classico-rinascimentali e realiste.

Gli impressionisti avevano fornito risposte immediate con la loro pittura en plain air, costituita da pennellate veloci e meccaniche, con le quali ritraevano ciò che l’occhio catturava in natura al primo sguardo.

Bisognava allontanarsi da questa maniera, afferma Gauguin: "Un consiglio: non copiate troppo dalla natura. L’arte è astrazione: spremetela dalla natura sognando difronte ad essa, e preoccupatevi più della creazione che del risultato."

Paul Gauguin, Visione dopo il sermone (Giacobbe che lotta con l’Angelo), 1888, olio su tela, cm 73 x 92, National Gallery of Scotland, Edimburgo
Paul Gauguin, Visione dopo il sermone (Giacobbe che lotta con l’Angelo), 1888, olio su tela, cm 73 x 92, National Gallery of Scotland, Edimburgo

Bisognava perciò dipingere a memoria, evitando di avere davanti a se l’oggetto da rappresentare, ricavandolo dalla propria immaginazione che ne aveva raccolta e conservata l’idea.

Il quadro cruciale per capire queste riflessioni è "Visione dopo il sermone" oppure "Lotta di Giacobbe con l'angelo".

Il prato sul quale campeggiano le contadine, di un ocra astratto steso con pennellate circolari senza alcuna solidità, non ha nulla di reale.

Per rappresentare le figure delle donne bretoni sono stati usati essenzialmente due colori: il bianco e il nero.

Paul Gauguin, Il Cristo giallo, olio su tela, cm 92x73 cm, 1889, Albright-Knox A. G., Buffalo
Paul Gauguin, Il Cristo giallo, olio su tela, cm 92x73 cm, 1889, Albright-Knox A. G., Buffalo

È assente la profondità come la prospettiva, non c’è nemmeno lo spazio, le figure sembrano galleggiare in un contesto irreale.

La deformazione spaziale trova corrispondenza con quella fisionomica: le donne uscite dalla chiesa dopo il sermone, simbolo della realtà, immaginano di vedere la lotta tra Giacobbe e l’angelo, oggetto di visione.

Le due scene sono separate dal ramo scuro che simboleggia il mondo terreno.

La lotta biblica rimanda le raffigurazioni giapponesi dei lottatori di sumo.

Per me in questo quadro il paesaggio e la lotta esistono soltanto nell’immaginazione della gente che prega dopo il sermone: ecco perché c’è contrasto tra la gente, che è reale, e la lotta nel paesaggio, che è innaturale e sproporzionato

Il quadro si fa manifesto della pittura simbolista, per la quale l’opera d’arte deve avere queste caratteristiche: deve essere ideista, simbolista, sintetista, soggettiva e decorativa.

Ideista perché espressione di un’idea; simbolista perché l’idea viene espressa attraverso un segno, una forma; sarà poi sintetica nel senso di comprensibile, soggettiva perché ogni oggetto rappresentato varia a seconda di chi lo realizza.

La ricerca della forma, vissuta come ricerca delle fonti primarie della natura umana ossia sentimenti, assenza di corruzione negli atteggiamenti, si accompagna allo studio dei riti bretoni e nella semplificazione nelle sculture oceaniche.

Paul Gauguin, Due donne tahitiane sulla spiaggia, 1891, cm 69x91, olio su tela, Museo d’Orsay, Parigi
Paul Gauguin, Due donne tahitiane sulla spiaggia, 1891, cm 69x91, olio su tela, Museo d’Orsay, Parigi

La produzione del 1890 è altamente convenzionale rispetto a quella che la precede e a quella che verrà: paesaggi, fattorie, nature morte e ritratti appaiono statici soggetti, un ritorno all’ordine 'sconsolato', ricerca di pace priva di entusiasmo.

Curiosamente si distinguono alcuni lavori, tre dipinti e un disegno, completamente diversi tra loro.

Al pari della "Visione del Sermone" c’è Il "Cristo giallo", opera del 1889.

I contorni neri racchiudono i colori delle figure richiamando le piombature nelle vetrate gotiche rivelando in gran modo l’influsso dello stile del cloisonnisme o sintetico.
La crocifissione non è rappresentata secondo le regole medievali e mancano le figure di Maria e della Maddalena, sostituite da tre donne bretoni del tempo.

Paul Gauguin, Donna tahitiana seduta (Vahine no te tiare), 1891, olio su tela, cm 70 x 46, Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek
Paul Gauguin, Donna tahitiana seduta (Vahine no te tiare), 1891, olio su tela, cm 70 x 46, Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek

Questa scelta testimonia una lettura moderna dell’evento religioso: il sacrificio di Gesù è presente nell’esperienza quotidiana.

Dominano i colori del giallo, tonalità simbolica che allude all’unione tra il grano e Cristo.

Non ci sono sfumature, l’opera è bidimensionale.

Dal 1891 al 1893 Gauguin è a Tahiti, isola vulcanica della Polinesia francese, per prendere distanza dalla civiltà occidentale.

Dice Gauguin:

"Voglio fare dell’arte semplice, molto semplice; per questo ho bisogno di ritrovare le mie forze a contatto con la natura ancora vergine, di vedere solo selvaggi e vivere la loro vita, senz’altra preoccupazione che tradurre con la semplicità di un bambino le fantasie della mente con gli unici mezzi veri ed efficaci: quelli dell’arte primitiva."

Del primo soggiorno tahitiano abbiamo l’opera "Due donne tahitiane sulla spiaggia" realizzato nel 1891 dove Gauguin ritrae due donne tahitiane sedute su una spiaggia, in un momento di riposo in cui le figure spiccano in primo piano e assumono un’importanza maggiore rispetto al contesto.

Una delle attrazioni preferite da Gauguin erano i rituali dei pantomimi fatti di gesti cadenzali, condotti da figure ieratiche con sguardi fissi come statue che il pittore tradurrà in pittura con figure dalle pose e sguardi rigidi, dai contorni rigorosi e chiusi.

Paul Gauguin, La Orana Maria, olio su tela, cm 114 x 89, Metropolitan Museum, New York
Paul Gauguin, La Orana Maria, olio su tela, cm 114 x 89, Metropolitan Museum, New York

Grazie alle luci e ai colori tropicali arrivò ad eliminare qualsiasi forma di sfumatura impressionista dipingendo quindi le sue prime indigene in forme compatte, con pochi colori contrastanti in ambienti molto vasti come sfondi.

Gauguin era convinto che dipingendo il mondo selvaggio, la vita, e di conseguenza l’arte, avrebbe ripreso salute abbandonando tutto quello che era convenzionale, artificiale, abitudinario, portatore di malattia. Addirittura in questo periodo scrive un autobiografia parzialmente romanzata dal titolo "Noa Noa" avviato durante il suo soggiorno nei tropici, che ci aiuta non solo a leggere i dipinti di quel periodo ma anche a capire i suoi pensieri.

Qui realizza il quadro "Vahine no te tiare", che in tahitiano significa Donna col fiore.
Gauguin parlando della donna dice che non era carina secondo i canoni del suo tempo, ma i suoi tratti armoniosi la rendevano bella.

Paul Gauguin, Manao Tupapau (Lo spirito dei morti veglia), 1892, olio su tela, cm 73 x 92, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo
Paul Gauguin, Manao Tupapau (Lo spirito dei morti veglia), 1892, olio su tela, cm 73 x 92, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo

Si tratta di una bellezza raffaellesca, dove tutte le proporzioni del viso sono in equilibrio.

La capitale di Tahiti, Papeete, è ancora troppo urbanizzata per Gauguin che preferisce spostarsi in un luogo dove i ritmi vitali degli indigeni non sono ancora stati modificati dal colonialismo.

Va a vivere in un villaggio vicino Pecca, dove si stabilisce in una capanna sull’oceano e si abbandona ad una vita semplice.

Comincia la contaminazione tahitiana nella sua pittura: dipinge nel 1891 La "Orana Maria (Ave Maria)" operando una contaminazione fra cattolicesimo e religione orientale nell'ambiente paganeggiante dei tropici.

Come in un’annunciazione, relegato in secondo piano l’angelo dalle ali blu e gialle indica a due donne tahitiane le figure di Maria e Gesù.

L’ambientazione è composta da montagne scure e alberi in fiore.

Sotto i piedi delle due donne si apre una strada viola cupo mentre in primo piano campeggia un verde smeraldo con una natura morta fatta di banane.

Paul Gauguin, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, 1897, cm 139 x 374,5, olio su tela, Museum of Fine Arts, Boston
Paul Gauguin, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, 1897, cm 139 x 374,5, olio su tela, Museum of Fine Arts, Boston

Le donne tahitiane, dai fianchi stretti, spalle larghe e pelle ambrata, saranno le muse di Gauguin sempre presenti nelle tele come nella sua vita, appartenenti a un mondo ormai lontano dalle rigide regole bretoni e occidentali.

Qui si lascia andare alla celebrazione dell’amore e alla sensualità rappresentate nei suoi quadri attraverso il rifiuto della prospettiva ereditata dal Rinascimento e della staticità per catturare il momento fuggente, in cui è racchiuso lì elogio del piacere sensuale.

Teha’amana è la giovane amante del pittore ritratta nel quadro "Manao Tupapau", ossia "Lo spirito dei morti veglia".

Il Tupapau secondo le credenze polinesiane era un giovane demone, spirito dei morti, qui rappresentato mentre veglia sulla giovane donna nuda.

Nuda perché le polinesiane non si vergognano di essere viste senza veli, a differenza delle donne bibliche (ed occidentali del tempo in generale).

Gauguin ne avrà parecchie di donne, almeno finché la sifilide e l’eczema che lo deturparono nella fase terminale della sua vita non lo uccisero.

Dal 1893 al 1895 è costretto a lasciare Tahiti per tornare in Francia, dove riuscì a racimolare del denaro vendendo alcune sue tele.

Nuovamente deciso a partire si imbarca nel 1895 e raggiunge la Polinesia dove vi resterà fino alla morte avvenuta il 3 maggio del 1903.

Negli ultimi anni della sua attività egli realizza la famosa tela "Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?".

L’opera va letta da destra verso sinistra come vuole la tradizione orientale.

Ha la forma di un fregio che decorava i templi orientali studiati dall’artista; a dare maggiormente l’idea di fregio sono le scritte che compaiono ai bordi all’interno di piccoli sipari dorati, a dar l’idea di un affresco. Partendo da destra è raffigurato un neonato, simbolo della nascita, che fin da subito viene lasciato nell’indifferenza delle persone che lo circondano.

Al centro c’è l’unico personaggio maschile ritratto nell’atto di cogliere un frutto, il cui gesto può avere due significati: il primo religioso per il riferimento al peccato originale di Adamo ed Eva; secondo esistenziale, simbolo della gioventù che coglie il periodo più bello della vita.

Sullo sfondo le due figure rosse sono il simbolo dei tormenti e delle domande che giacciono nel profondo di ogni animo, che per altro danno il titolo al quadro.

Sono le stesse domande che si poneva Gauguin quando ormai, molto malato, si stava avvicinando alla morte cercando la risposta nell’arte a cui ha dedicato tutta la sua vita.

La statua della divinità è simbolo dell’inutilità e della falsità della religione, che non può dare sollievo e consolazione necessarie.

La donna anziana all’estrema sinistra raggomitolata mentre urla è in attesa della morte.

La vegetazione che fa da sfondo è rappresentata in maniera molto sintetica, i rami diventano decorazioni arabeschi; i colori sono antinaturalistici: infatti, gli alberi sono blu.

Gauguin impianta il quadro come fosse un bassorilievo in cui le scene sono scandite dal ciclo della vita, dalla morte alla nascita in una circolarità a cui l’uomo non può sottrarsi.

Tuttavia i personaggi non possono fare a meno di porsi delle domandi sulla loro esistenza, per cui ciascuno sembra avere un atteggiamento meditativo, di riflessione individuale o comune.

L’uccello bianco e la coppia che dialoga sullo sfondo sono infatti il simbolo dell’inutilità della parola.

La risposta alla domanda imposta nel titolo del quadro è nel quadro stesso: nel ciclico rigenerarsi e riproporsi della vita in forme differenti.

Gauguin impiegò molto tempo per realizzarlo e, incapace di concluderlo come voleva, tentò di suicidarsi ingerendo arsenico; la dose troppo forte e presa velocemente determinò un acuto vomito che annullò l'effetto del veleno.

L’ulcera alle gambe, la sifilide trascurata da anni (che peraltro trasmise agli indigeni), le infezioni agli occhi ed il continuo abuso di alcool e morfina lo portarono comunque al destino comune qualche anno più tardi, nel carcere di Hiva Oa.

Sepolto nell'indifferenza generale in una tomba senza nome, solo dopo una ventina d'anni il feretro fu ritrovato, e vi fu posta una semplice lapide con scritto: «Paul Gauguin 1903».

Paul Gauguin: la vittoria dello spirito sulla materia

Paul Gauguin

Paul Gauguin ed il suo gigantesco contributo all'arte debbono obbligatoriamente occupare una posizione di prestigio nella storia mondiale: staccatosi ben presto dall'impressionismo, l'istrionico pittore francese anticipò le avanguardie storiche d'inizio '900, dando una seria sterzata della pittura verso l'astrattismo e l'espressionismo, che domineranno la scena artistica nei decenni successivi.

Grazie a Gauguin (e, in eguale misura, a Toulouse-Lautrec) la pittura occidentale, ancora piuttosto chiusa nei canoni rinascimentali, venne per la prima volta contaminata in maniera considerevole dall'arte orientale, dalla sua prospettiva sommaria (quando non totalmente inesistente) e dalla sua bidimensionalità.

I colori così vivi, senza sfumature, che riempiono forme puramente ideali con una forza espressiva ed una potenza visiva di rara maestosità sono l'emblema di tutto il pensiero artistico di Gauguin: libero dalle imposizioni del canone che per secoli ha ingabbiato l'arte regina, il tratto del maestro può librarsi verso mondi primitivi, irrazionali, rudi e selvaggi, eppur così profondamente affascinanti, vivi, attraenti.

Un eterno vagabondare tra un mondo etereo ed un mondo fin troppo fisico, dove il dolore di una lacerazione dell'anima inevitabile è usato per produrre bellezza, armonia, completezza.

Un pittore essenziale, dunque, per comprendere non solo un'epoca, ma un'intera corrente artistica che non si fermerà più, e che porterà alla nascita della pittura contemporanea e della vittoria del concetto sulla realtà, dello spirito sulla materia.

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