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L'erotismo di Raffaello Sanzio

Raffaello Sanzio
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Raffaello Sanzio nasce il 6 aprile del 1484 ad Urbino, città marchigiana considerata all’epoca una dei centri artistici più importanti d'Europa.

Il padre Giovanni Santi (da cui 'Sanzio', cioè 'figlio del Santi') era un noto pittore urbinate "purtroppo non molto eccellente" a detta di Giorgio Vasari, ma aveva una fiorente bottega in città.

È qui che il giovane artista apprese le prime pitture, ed in particolare conobbe gli studi prospettici di Piero della Francesca, e l’architettura rinascimentale di Luciano Laurana.

Raffaello, Autoritratto, 1504-1506, Olio su tavola, cm 47,5x33, Galleria degli Uffizi, Firenze
Raffaello, Autoritratto, 1504-1506, Olio su tavola, cm 47,5x33, Galleria degli Uffizi, Firenze

All'età di 11 anni perse il padre, ereditando così la sua bottega che abbandonò presto per iniziare un breve ma significativo alunnato dall’allora famosissimo pittore Pietro Vannucci, meglio noto come il Perugino.

Il periodo formativo che trascorrerà a Perugia gli permetterà non solo di acquisire contatti importanti, primo fra tutti il Pinturicchio, ma anche d’apprendere l’insegnamento pittorico del Perugino.

Il talento del giovanissimo artista non tarda a mostrarsi, infatti fin da subito gli vengono commissionate opere importanti tra cui ricordiamo il dittico composto da "Il sogno del cavaliere" e "Le Tre Grazie", opere ancora molto vicine alla pittura del Perugino.

Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci, rerum magna parens et moriente mori.

Ne "Il sogno del cavaliere" Raffaello ci mostra una composizione simmetrica divisa in due porzioni dall’albero d’alloro, sotto il quale giace il cavaliere addormentato con la testa reclinata, fisicamente abbandonato al sonno; all’estremità due figure femminili che chiudono lateralmente la composizione.

Esse sono la virtù, con la spada simbolo dell’arte militare e il libro che fa riferimento alla conoscenza; dall’altra parte c’è il piacere, con un fiore a simboleggiare l’amore.

Raffaello, Il sogno di un cavaliere, 1503-1504, Olio su tela, cm 17x17, National Gallery, Londra
Raffaello, Il sogno di un cavaliere, 1503-1504, Olio su tela, cm 17x17, National Gallery, Londra

La scena è immersa in un’atmosfera magica e onirica che appartiene senza ombra di dubbio al sogno.

Ne "Le Tre Grazie" riconosciamo la pacatezza nei volti dei personaggi, la leggiadria delle movenze, l’equilibro nella disposizione delle masse che degradano man mano ci si allontana dal primo piano, evidente richiamo della ricerca pittorica appresa durante l’alunnato a Perugia.

Nel 1504 realizzò uno dei suoi più grandi capolavori a conclusione del suo periodo giovanile: si tratta dello "Sposalizio della Vergine", con il quale dimostra di aver superato lo stile del maestro Perugino.

L’opera è ispirata a una pala analoga del suo maestro, dipinta proprio negli stessi anni, dal cui confronto si dimostra cosa Raffaello fece proprio e cosa cambiò: copiò il maestoso tempio sullo sfondo, ma lo alleggerì allontanandolo dalle figure e ne fece il fulcro dell'intera composizione, che sembra ruotare attorno all'elegantissimo edificio a pianta centrale.

Raffaello, Tre grazie, 1503-1504, Olio su tela, cm 17x17, Museo Condé, Chantilly
Raffaello, Tre grazie, 1503-1504, Olio su tela, cm 17x17, Museo Condé, Chantilly

L’episodio narrato nei Vangeli apocrifi ci mostra Maria nel giorno in cui viene considerata pronta a sposarsi: tra i vari pretendenti si stabilisce l’uomo che ella dovrà sposare, ossia Giuseppe, perché è l’unico a cui il segno divino ha fatto germogliare il ramo.

Le figure sono più sciolte e naturali e mostrano sentimenti contrastanti: le pie donne hanno l’aria più serena rispetto ai pretendenti uomini delusi.

Con una disposizione nello spazio matematicamente studiata, come in Piero della Francesca, le figure non sono allineate in primo piano come nel dipinto del Perugino, ma sono disposte a semicerchio, bilanciando e richiamando le forme concave e convesse del tempio stesso.

Accortosi della bravura del giovane Raffello, il Pinturicchio, il quale ebbe la commissione degli affreschi della Biblioteca nel Duomo di Siena da parte del Cardinale Francesco Piccolomini (futuro Pio III) lo spedì a Siena.

Ritenendo Raffaello un ottimo disegnatore, Pinturicchio gli fece realizzare alcuni disegni e cartoni che sarebbero poi stati usati per gli affreschi della biblioteca, anche se non è ancora chiaro quale vennero effettivamente realizzate da Raffaello.

Quello dipinto da Raffaello è un mondo che non poteva esistere se non nella sua realtà pittorica: i personaggi ritratti sono rappresentati secondo gli ideali platonici di perfezione e bellezza, che li rendono al contempo metafisi, reali e irreali.

Raffaello, Sposalizio della Vergine, 1504, Olio su tela, cm 170x117, Pinacoteca di Brera, Milano
Raffaello, Sposalizio della Vergine, 1504, Olio su tela, cm 170x117, Pinacoteca di Brera, Milano

Nella "Dama con l’unicorno" del 1506, l’espressione del viso viene ancora dalla collaborazione con il Perugino a cui però Raffaello aggiunge un tocco di freddezza attraverso gli occhi cerulei della donna.

Anche i paesaggi sono talmente perfetti da sembrare irreali.

Nel 1504, a ventun anni, si trasferisce a Firenze quando la città vive un momento artistico estremamente vivo e stimolante.

Da qui gli era giunta fama dei bellissimi disegni opera di Michelangelo Buonarroti e Leonardo da Vinci per la Sala dei Cinquecento a Palazzo Vecchio.

Studia perciò la maniera di Leonardo da Vinci, da cui impara le tecniche dei suoi famosi colori, dei chiaro-scuri, a cui si aggiunge anche Fra Bartolomeo (dal quale impara il linguaggio e l’armonia della composizione).

Raffaello, Deposizione di Cristo, 1507, Olio su tavola, cm 186x176, Galleria Borghese, Roma
Raffaello, Deposizione di Cristo, 1507, Olio su tavola, cm 186x176, Galleria Borghese, Roma

Ha modo anche di misurarsi con classicismo di Sandro Botticelli e del Ghirlandaio, che risulteranno essenziali per la sua maturazione artistica.

Un famoso dipinto del periodo fiorentino è senza dubbio la "Pala Baglioni" commissionata dalla nobildonna Atalanta Baglioni, forse in seguito all’assassinio del figlio, evocato nel trasporto.

Le pose dei personaggi rimandano alla tensione dinamica di Michelangelo e, come in un quadro botticelliano, il vento soffia tra i capelli degli astanti, i quali hanno acconciature di gusto mediceo che ornano i meravigliosi profili da medaglia dei visi.

Ecco che vengono abbandonati i sorrisi trattenuti e meditati del Perugino, per lasciar spazio ad espressioni di aggraziata drammaticità, come nell’agitazione delle pie donne sulla destra con Maria svenuta sostenuta dalle compagne.

Raffaello, Madonna del cardellino, ca 1506, Olio su tavola, cm 107x77, Galleria degli Uffizi, Firenze
Raffaello, Madonna del cardellino, ca 1506, Olio su tavola, cm 107x77, Galleria degli Uffizi, Firenze

La figura inginocchiata mostra già la torsione indietro, ispirata forse alla "linea serpentina" del Tondo Doni di Michelangelo, ma si aggiunge un riferimento al mondo antico, in particolare alla rappresentazione iconografica della "Morte di Meleagro" ripreso nella posa di Cristo.

Osservando con attenzione l’elaborazione grafica precedente alla tela, si può vedere come nell’idea iniziale c’era la volontà di creare un compianto, con Cristo disteso per terra circondato da personaggi dolenti.

Per dare maggiore drammaticità alla scena, Raffaello decise di aggiungere dinamicità e tensione tra le figure raggiungendo così il tema del trasporto.

Raffaello, La Muta, 1507, Olio su tavola, cm 64x68, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino
Raffaello, La Muta, 1507, Olio su tavola, cm 64x68, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino

Nella tradizione artistica occidentale Raffaello apporta così un vero e proprio cambiamento, poiché le figure non sono più rappresentate in maniera statica ma sono dinamiche e monumentali.

Studiando Leonardo acquisisce la dolcezza dei gesti e degli affetti, insieme allo sfumato e alla composizione piramidale, rintracciabili in particolare nelle rappresentazioni delle madonne con bambino.

Sempre nel periodo fiorentino strinse amicizia con il pittore Taddeo Taddei, il quale invitava spesso Raffaello nella propria casa tant’è che il nostro artista per consacrare la loro grande amicizia gli fece dono di due quadri: la "Madonna del Belvedere" e la "Madonna Bridgewater" (dal nome del proprietario ottocentesco dell’opera).

Realizzò poi la "Madonna del cardellino" per la quale Giorgio Vasari spese parole assai nobili per descriverla:

"[…] fece alle gambe della Nostra Donna un putto, al quale un S. Giovannino tutto lieto nell’attitudine d’ambidue una certa semplicità puerile e tutta amorevole, oltre che sono tanto ben coloriti e con tanta diligenza condotti, che piuttosto paiono di carne viva che lavorati di colori […]"

Sempre per bocca del Vasari, la Madonna, "che ha un’aria veramente piena di grazia e di divinità", mentre tutto il contorno "il piano, i paesi, e tutto il resto dell’opera è bellissimo".

Il quadro datato 1504 si trova alla Galleria degli Uffizi a Firenze, e ne costituisce ancor oggi una delle attrazioni principali.

Assieme alle serie delle Madonne, celebri nel periodo fiorentino sono anche i ritratti come la "Donna gravida", "Agnolo Doni" e "Maddalena Strozzi", la "Dama col liocorno" e la "Muta".

La grande maestria nel disegno, il tratto gentile e un'insolita eccellenza nel migliorare armonicamente le brutture antiestetiche delle persone senza però snaturare la figura originale lo portano in poco tempo a diventare uno uno stimato ritrattista.

Raffaello, Dama col liocorno, 1505-1506, Olio su tavola, cm 65x51, Galleria Borghese, Roma
Raffaello, Dama col liocorno, 1505-1506, Olio su tavola, cm 65x51, Galleria Borghese, Roma

Nella "Muta" riaffiorano le componenti leonardesche nello sfondo scuro, la posa e tre quarti, le mani congiunte ricordano il ritratto della "Gioconda".

Tuttavia se ne distacca nella definizione netta dei contorni, e nell’attenzione ai particolari come le vesti, i gioielli, i ricami, insieme alla lucentezza della superficie pittorica di matrice fiamminga.

La "Dama col liocorno" è il ritratto di una giovane donna a mezza figura col busto leggermente ruotato. Anche qui Raffaello si sofferma con dovizia sui particolari come il diadema al centro del petto, i capelli lunghi e biondi che le cingono il volto.

Tra le mani stringe un liocorno, simbolo di purezza verginale poiché, nella mitologia, essi erano addomesticabili solo dalle vergini.

Nel complesso, in questi ritratti prevale la descrizione dei lineamenti fisici, dell'abbigliamento, dei gioielli, e la luminosità del paesaggio, elementi che non alludono a nessun elemento simbolico.

Raffaello dimostra la capacità di studiare attentamente la personalità, cogliendo i dati introspettivi degli effigiati assieme ad un'appassionata descrizione del dettaglio di origine fiamminga, appresa probabilmente alla bottega paterna.

Raffaello, Madonna del Baldacchino, 1507-1508, olio su tela, 276x224 cm, Firenze, Galleria Palatina
Raffaello, Madonna del Baldacchino, 1507-1508, olio su tela, 276x224 cm, Firenze, Galleria Palatina

Tra il 1507 e il 1508 iniziò la "Madonna del Baldacchino", dove la staticità delle antiche pale medievali appare annullata dall’intenso movimento generato dai personaggi, come gli angeli in volo in pose avventatissime.

L’opera non fu terminata perché verso la fine del 1508 papa Giulio II lo chiamò a Roma, forse dietro consiglio dell’urbinate Donato Bramante, per decorare le sue stanze in Vaticano.

I lavori cominciarono nel 1508 nella Stanza della Segnatura, chiamata così perché nel 1541 vi ebbe sede il Tribunale ecclesiastico dal quale riprende il nome.
In realtà in origine doveva esserci la biblioteca del papa, per cui il tema degli affreschi faceva riferimento agli argomenti dei libri corrispondenti (Teologia, Filosofia, Diritto, Estetica).

Il messaggio espresso in questa stanza parte dal presupposto che il primo dovere dell’uomo sia la conoscenza, ed ecco rappresentata la "Scuola di Atene".

Raffaello, Scuola di Atene, 1510, Stanza della Segnatura (1508-1511), Musei del Vaticano, Città del Vaticano
Raffaello, Scuola di Atene, 1510, Stanza della Segnatura (1508-1511), Musei del Vaticano, Città del Vaticano

Qui, sullo sfondo di un'architettura che ricorda il progetto di Bramante per la basilica di San Pietro, i sapienti dell’antichità sono riuniti e hanno i volti dei contemporaneo: al centro riconosciamo Platone, che con le sembianze di Bastiano da Sangallo ha il braccio destro alzato a indicare l’universo delle idee, e Aristotele, con il volto di Leonardo ha la mano parallela al suolo, a significare la concretezza del metodo sperimentale.

Lo scopo della conoscenza è proprio quello di comprendere e dominare le ragioni delle cose.

Oltre a Platone e Aristotele, riconosciamo Socrate, Epicuro, Diogene (disteso seminudo e solo al centro della scala), Pitagora (mentre tiene lezioni di aritmetica), Euclide (il grande geometra sta illustrando un teorema ed ha il volto del Bramante), Tolomeo (col globo terracqueo), Zoroastro (con il planetario), Eraclito (in primo piano, si è voluto riconoscere un omaggio a Michelangelo).

Di fronte alla "Scuola di Atene" c’è la cosiddetta "Disputa del Sacramento" dedicata al mistero del Verbo Incarnato rappresentato dall’ostia al centro della scena, la quale incarna lo Spirito Santo presente sopra di essa.

Raffaello, Disputa del Sacramento, 1509, Stanza della Segnatura (1508-1511), Musei del Vaticano, Città del Vaticano
Raffaello, Disputa del Sacramento, 1509, Stanza della Segnatura (1508-1511), Musei del Vaticano, Città del Vaticano

La scena è divisa in piani: in primo piano al centro c’è l’ostia consacrata con intorno disposti a semicerchio i personaggi della Chiesa militante, ossia i dottori e i teologi, che si fanno testimoni del Vero, ossia del sacramento dell’eucarestia.

Sopra lo Spirito Santo, il Cristo Redentore siede in trono tra la Vergine Maria e San Giovanni Battista circondati da santi e altri personaggi come Dante, il Beato Angelic e Girolamo Savonarola.

In corrispondenza della figura di Cristo c’è il Dio Padre.

In realtà il titolo dovrebbe essere "Il Trionfo della Religione" in quanto i santi e i dottori non sono in 'disputa' ma sono meravigliati ed emozionati di fronte al miracolo del cielo e della Terra che si uniscono nella Trinità e nell’eucarestia: l’uomo si sforza di comprendere le cose con la ragione perché questo fa parte della sua natura (come illustrato nella "Scuola di Atene") accettando la rivelazione ("Disputa del Sacramento"), ma non sarebbe completa la sua esistenza se nella vita non ci fosse la consolazione della bellezza della poesia e la certezza della legge.

La bellezza è rappresentata nel "Parnaso", il monte sacro ad Apollo qui raffigurato mentre suona una lira da braccio circondato dalle muse e dai poeti più importanti di ogni tempo come Omero, Dante, Saffo, Virgilio.

La legge è incarnata dalle virtù cardinali e teologali.

Raffaello, Il Parnaso, 1511, Stanza della Segnatura (1508-1511), Musei del Vaticano, Città del Vaticano
Raffaello, Il Parnaso, 1511, Stanza della Segnatura (1508-1511), Musei del Vaticano, Città del Vaticano

Le virtù cardinali sono rappresentate da donne: la Forza tiene un ramo di rovere (allusione a papa Giulio II Della Rovere), la Prudenza si guarda alle spalle nello specchio, la Temperanza ci mostra le redini necessarie per regolare la nostra vita, la Giustizia tiene i simboli iconografici della bilancia e della spada.

Le virtù teologali hanno le sembianze di fanciulli: la Fede indica il cielo con un dito, la Speranza sostiene la torcia accesa, la Carità raccoglie qualcosa delle fronde della quercia emblema del papa (forse vuole alludere alle doti caritatevoli del pontefice).

Al di sotto troviamo l’imperatore Giustiniano e papa Gregorio IX, due protagonisti della storia del diritto.

Mentre con la Stanza della Segnatura si celebra il destino dell’uomo diviso tra Conoscenza e Rivelazione, tra Bellezza e Diritto, la Stanza di Eliodoro dipinta tra il 1512 e il 1514 intende celebrare gli interventi di Dio a soccorso della Chiesa per sconfiggere le minacce alla sua fede.

Raffaello, Le Virtù cardinali e teologali, 1511, Stanza della Segnatura (1508-1511), Musei del Vaticano, Città del Vaticano
Raffaello, Le Virtù cardinali e teologali, 1511, Stanza della Segnatura (1508-1511), Musei del Vaticano, Città del Vaticano

Dato che i temi iconografici rappresentati erano una novità per l’epoca, Raffaello non deve confrontarsi con nessun precedente e perciò elabora uno stile personale inedito, che si distacca dalla Stanza della Segnatura.

Noi possiamo riconoscere il debito verso Michelangelo nel modo di rappresentare l’anatomia, l’azione drammatica e il movimento, soprattutto nella fuga concitata di Eliodoro; l’incontro con il cromatismo veneto divulgato da Sebastiano del Piombo, l’attenzione alla verità della pelle, della fisionomia e psicologia del ritratto rinascimentale come Lorenzo Lotto aveva fatto in quegli anni.

Nella "Liberazione di San Pietro" dal carcere dove la scena è scandita l'azione è suddivisa in tre momenti come fosse un trittico: al centro c’è Pietro, imprigionato dietro alle sbarre mentre gli appare in sogno l’angelo che lo liberò.

A destra Pietro è appena uscito ed è accompagnato dall’angelo portatore di luce.

A sinistra c’è il primo notturno della storia dell’arte, dove per protagonista c’è una luna parzialmente velata dalle nubi nel cielo di Roma.

Raffaello, Cacciata di Eliodoro dal Tempio, 1512, Stanza di Eliodoro (1512-1514), Musei del Vaticano, Città del Vaticano
Raffaello, Cacciata di Eliodoro dal Tempio, 1512, Stanza di Eliodoro (1512-1514), Musei del Vaticano, Città del Vaticano

La luna del 1512 di Raffaello anticipa Caravaggio, e viene anche prima della "Ronda di notte" di Rembrandt.

Raffaello si dimostra in questa scena un abile architetto e scenografo nel creare un’atmosfera irreale, tra sogno e realtà.

Di sapore prebarocco c’è la "Cacciata di Eliodoro dal Tempio", dove il saccheggiatore Eliodoro viene assalito e cacciato da due soldati: la scena allude alla crociata di Giulio II contro gli usurpatori della chiesa, e per rendere tale il messaggio si fece raffigurare a sinistra con una lunga barba.

Nella "Messa di Bolsena" viene rievocato il miracolo eucaristico avvenuto a Bolsena dove l’ostia si è fatta carne (chiamato miracolo della transustanziazione).

Raffaello, Incendio di Borgo, 1514, Stanza dell’Incendio di Borgo (1514-1517), Musei del Vaticano, Città del Vaticano
Raffaello, Incendio di Borgo, 1514, Stanza dell’Incendio di Borgo (1514-1517), Musei del Vaticano, Città del Vaticano

Nell’"Incontro di san Leone Magno con Attila" viene raffigurato l’episodio leggendario secondo il quale Attila e le sue truppe decisero di non invadere Roma non soltanto per la parole del papa ma perché videro nel cielo le figure armate dei santi Pietro e Paolo.

L’episodio avvenne a Mantova ma l’artista lo rappresenta a Roma infatti riconosciamo sullo sfondo il Colosseo, un acquedotto, una basilica e un obelisco.

Esso doveva fungere da manifesto di propaganda politica: l’opposizione della Chiesa alla presenza straniera in Italia.

Nell’effige del Papa non è ritratto Giulio II, committente del lavoro, ma Leone X suo successore perché il 21 febbraio del 1513 Giulio II morì e da questo momento in poi il volto del papa sarà rappresentato da Leone X.

L’opera non è completamente autografa di Raffaello, la sua parte è circoscritta a sinistra nella corte del Papa.

Il resto è stato realizzato dalla sua importante bottega in grado di allestire un cantiere, governarlo e portarlo a conclusione.

Raffaello, Incoronazione di Carlo Magno, 1514-1517, Stanza dell’Incendio di Borgo (1514-1517), Musei del Vaticano, Città del Vaticano
Raffaello, Incoronazione di Carlo Magno, 1514-1517, Stanza dell’Incendio di Borgo (1514-1517), Musei del Vaticano, Città del Vaticano

Con la stanza dell’"Incendio di Borgo", realizzata tra il 1514 e il 1517, ossia la camera la pranzo del Papa, si celebrano le gesta degli antichi pontefici di nome Leone ed è stata realizzata insieme alla bottega del maestro.

Nella "Battaglia di Ostia" si allude alla vittoria di Leone X contro i turchi: la scena dell’"Incendio di Borgo" si riferisce ad un episodio secondo il quale Leone IV avrebbe estinto con la croce l’incendio che attanagliò borgo Santo Spirito a Roma.

La scena è ispirata all’incendio della città di Troia rievocata tra le fiamme a sinistra, nella quale riconosciamo Enea in fuga con in spalla suo padre Anchise.

Oltre al messaggio religioso ne custodisce uno politico: l’approvazione dell’alleanza tra chiesa e Francia dopo anni di negoziati.

Raffaello, Loggia di Raffaello, 1518-1519, ciclo di affreschi, Città del Vaticano, Musei Vaticani
Raffaello, Loggia di Raffaello, 1518-1519, ciclo di affreschi, Città del Vaticano, Musei Vaticani

Per questo nell'"Incoronazione di Carlo Magno" l’imperatore ha il volto di Francesco I.

Nel "Giuramento di Leone III" il Papa, per difendersi dalle calunnie davanti al clero e al sovrano, afferma che solo Dio e non gli uomini ha il potere di giudicare i vescovi, perciò la Chiesa ha la totale autonomia di fronte ai poteri secolari.

La gentilezza d’animo di Raffaello è confermata inoltre dalla scelta di non intervenire nella volta affrescata dal suo antico maestro Perugino.

Il percorso delle sale si conclude con la Sala di Costantino, destinata ai ricevimenti e cerimonie per la sua ampiezza, fu decorata dagli allievi di Raffaello dopo la sua morte avvenuta nel 1520.

L’ambiente prende il nome dai grandi affreschi che narrano gli episodi più salienti dell’imperatore Costantino convertitosi alla religione cristiana nella scena del "Battesimo di Costantino", ed in seguito all’"Apparizione della Croce" che annuncia la vittoria dell’imperatore su Massenzio ("In hoc signo vinces").

Raffaello, Trionfo di Galatea, 1517, ciclo di affreschi, Roma, Villa Farnesina
Raffaello, Trionfo di Galatea, 1517, ciclo di affreschi, Roma, Villa Farnesina

Una volta battezzato, Costantino decise di donare Roma a Papa Silvestro, ritratto con il volto di Clemente VII, nella "Donazione di Roma".

A parte il significato prettamente storico, gli affreschi della sala alludono alla vittoria della religione sul paganesimo, concetto chiaramente rappresentato successivamente dal "Trionfo della religione cristiana" sulla volta del 1585 opera di Tommaso Laureti, dove una statua romana è abbandonata in frantumi a terra per lasciare spazio alla croce, che ha preso il suo posto al centro della stanza.

Alla morte di Bramante, nel 1514, Raffaello venne nominato da papa Leone X architetto della fabbrica di San Pietro: un incarico prestigiosissimo e molto ben pagato, forse il massimo possibile per l'epoca per un artista.

La sua conoscenza dell'arte classica spinse il Papa a nominarlo anche conservatore delle antichità e ad affidargli l'incarico di realizzare una pianta della città di Roma antica della quale purtroppo oggi non ci resta più nulla.

Oltre ad esser intervenuto nella progettazione della basilica di san Pietro, Raffaello cura anche lo studio preparatorio della cappella Chigi in Santa Maria del Popolo a Roma (1513-1516) e la fronte di Santa Maria della Pace (1514).

Sappiamo anche che riuscì a portare a termine i progetti di Villa Madama e Villa Medici a Roma, tuttavia non smetterà di realizzare ritratti neanche avendo tempo residuo praticamente azzerato: pensiamo al dipinto di Giulio II e di Leone X con due cardinali.

Raffaello, Trasfigurazione, 1518-1520, olio su tavola, cm 405x278, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana
Raffaello, Trasfigurazione, 1518-1520, olio su tavola, cm 405x278, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana

Uno degli incarichi più importanti che Raffaello ha ricevuto dal Papa è stato una serie di dieci arazzi con scene della vita di San Pietro e di San Paolo destinati alla Cappella Sistina: i cartoni realizzati si distinguono per il pathos, la tragedia, l’emozione, la gloria che li ha destinati a rimanere indimenticabili.

La bellezza del mondo rappresentata da Raffaello si unisce alla sapienza tecnica degli arazzieri di Bruxelles, tessuti nella bottega di Pier van Aelst.

Sempre in Vaticano Raffaello realizza nel 1517 la decorazione della cosiddetta Loggia di Raffaello che prende il suo nome: la loggia era pensata come una lunga galleria, una specie di Tabularium (l’antico archivio capitolino che si affaccia sul Foro Romano), decorata con sculture dalla quale si poteva godere di un meraviglioso affaccio su Roma.

L'artista lavorò anche nella Villa Farnesina (dal nome della famiglia Farnese) dove dipinse il "Trionfo di Galatea" (1511-1513).

Raffaello, La Fornarina, 1518-1519, olio su tavola, cm 85x60, Galleria nazionale d'arte antica di Palazzo Barberini, Roma
Raffaello, La Fornarina, 1518-1519, olio su tavola, cm 85x60, Galleria nazionale d'arte antica di Palazzo Barberini, Roma

Realizzò inoltre, insieme ad alcuni suoi allievi, il lussureggiante pergolato - composto da festoni gravidi di fiori e di frutti d'ispirazione antica e tenendo presente Mantegna.

Il dipinto che sta al vertice di tutta la sua produzione è sicuramente la "Trasfigurazione" del 1520, opera che l’artista non riuscì a completare perché colto dalla morte e quindi portata a termine da Giulio Romano e da Gian Francesco Penni, gli allievi suoi prediletti.

Nella religione cattolica la trasfigurazione è il momento in cui Cristo si mostra nel suo splendore sovrumano ai tre discepoli Pietro, Giovanni e Giacomo.

La sacra rappresentazione è divisa in due momenti: la parte inferiore con il ragazzo impossessato è dominata dal dramma, dalla paura, dalla contrastata speranza mentre in alto c’è Cristo trasfigurato fra Mosè ed Elia.

Il ragazzo chiede di essere guarito, chi gli sta accanto cerca di aiutarlo ma solo Cristo può intervenire.

I toni scuri, quasi 'caravaggeschi' caratterizzano la parte inferiore mentre la luce simbolo di Cristo trionfa in alto.

Raffaello morì il 6 aprile 1520 a soli 38 anni, ironia della sorte proprio nel giorno del suo compleanno; fu sepolto, come da sua richiesta, nel Pantheon di Roma, monumento da lui profondamente amato.

Secondo Vasari la morte prematura di Raffaello è stata dovuta agli eccessi amorosi: dopo una nottata particolarmente smodata, l’artista, colto da febbre, non avrebbe detto ai dottori quale era stata la causa del malore e sarebbe stato sottoposto a salassi invece che a cure ricostituenti.

Presumibilmente, il fisico del grande pittore era già stato indebolito da anni dalla sifilide, male che ammorbava quasi tutti i frequentatori assidui dei bordelli.

Con le scarsamente efficaci cure dell'epoca - principalmente fatte di purghe e salassi per qualsiasi genere di patologia - è ragionevole supporre che il Sanzio sia stato ammazzato non tanto dalla febbre, quanto piuttosto dall'intervento dei medici, che quasi sicuramente indebolirono il cuore a tal punto da portarlo al collasso.

Al momento della sua morte nel proprio studio era conservato il famoso ritratto de "La Fornarina", nel quale si indentifica la donna amata da Raffaello.

La ragazza, che la tradizione vuole chiamata Margherita Luti (o Luzi), era la semplice figlia di un fornaio, e per questo era soprannominata da tutti "la fornarina".

Si racconta che Raffaello, durante una pausa nei lavori di Villa Farnesina, si trovasse lì vicino, e volgendo lo sguardo verso l'alto, notasse una bellissima ragazza affacciata ad una finestra, intenta a pettinarsi i capelli.

Egli, vedendola, se ne innamorò, e da quel momento in poi pretese sempre quella ragazza come modella per le sue opere.

Nella camera ardente allestita nel Pantheon venne appeso il suo ultimo capolavoro ancora incompleto, la "Trasfigurazione".

L’episodio è citato dal Vasari che afferma a tal proposito:

"La quale opera, nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l'anima di dolore a ognuno che quivi guardava."

Con Raffaello Sanzio morì uno dei più grandi artisti dell'umanità, un esponente di spicco del Rinascimento europeo ed un genio che riuscì a rendere eccezionalmente dolce ed aggraziata qualsiasi creatura da lui ritratta, fosse anche la morte.

Raffaello Sanzio: il maestro del divino che parlò all'universo umano

Raffaello Sanzio

Il contributo che diede Raffaello Sanzio non solo alla pittura, ma all'arte in generale è incalcolabile: soave artista, di una potenza visiva e di un'intelligenza spaziale di davvero rara occasione, dalla mente capace di creare letteralmente la bellezza partendo dal nulla o, cosa ben più difficile, partendo dalla bruttezza.

L'impostazione prospettica delle sue opere dipinte non solo 'è bellissima' (citando il Vasari, letteralmente infatuato dell'opera del maestro urbinate), ma costruisce un mondo favoloso, onirico eppur così tangibile, che ne caratterizzerà tutta la produzione artistica fino alla prematura morte.

Raffaello anticipa di svariati secoli la metafisica e, per certi versi, il surrealismo: le sue opere non hanno sovente paragoni o referenze con quello già creato, ma inventano piuttosto un nuovo cosmo particolare, fatto d'emozioni forti, introspettive, eppur così sapientemente capaci d'esser facilmente condivise anche a chi non ha una cultura classica elevata.

Ritrattista di sublime bravura, ciò su cui il suo occhio si posava diveniva immediatamente una straordinaria creazione: il grande talento nell'abbellire incredibilmente i soggetti senza però stravolgerne i lineamenti (quasi come a voler tirar fuori ogni traccia di bello anche laddove tale qualità era più recondita) ha donato al mondo opere così complete e complesse da essere per molti aspetti ancora ineguagliate.

Non è un caso che molti critici e storici hanno definito la pittura del Raffaello 'erotica', poiché in ogni sua pennellata è possibile recepire immediatamente la dolce stesura di una mano che, quasi come quella del Buonarroti capace di 'estrarre la forma dalla forma', qui invece estraeva sensualità anche da corpi sgraziati, obesi, dai duri lineamenti o le fin troppo morbide curve.

In soli 38 anni d'esistenza, Raffaello ha compresso tutto ciò che l'arte può e deve fare: può creare mondi meravigliosi, può stravolgere e sconvolgere il bello dal brutto, può far innamorare anche solo al primo sguardo.

Un artista talmente importante da essere riuscito ad elevare il suo nome al pari degli altri 'mostri sacri' del suo irripetibile periodo storico, quali Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Sandro Botticelli.

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