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Delirio Lucas! I giochi della LucasArts

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C'è stato un tempo in cui, per i ragazzi degli anni '90, il periodo più bello della giornata era tornare da scuola, mangiare con la voracità di un reattore nucleare, fingere di fare diligentemente i compiti e poi correre ad accendere il PC, l'Amiga od il Mac ed infilare al volo un magico disco magnetico protetto da quadrato involucro plastico in uno scassone beige, per aprire un mondo magico e meraviglioso.
Un mondo dove potevi essere un nerd occhialuto costretto a salvare il pianeta da un pazzo tentacolo viola mutante, oppure un tamarrissimo biker in un distopico futuro senza più auto con le ruote, od ancora un... Morto stecchito, con il compito di guadagnarsi il paradiso vendendo costosi viaggi nel mondo ultraterreno.
Ah, potevi anche essere Indiana Jones, volendo.

Ovviamente, potevi essere un pirata idiota dal nome ancora più idiota, perennemente braccato da un pazzo e crudele pirata zombie-fantasma.
Insomma, potevi essere altrove, e catapultarti in fantastiche avventure che duravano giorni e giorni, imparando a ragionare, a riflettere, ad aguzzare l'ingegno.
Era il mondo della LucasArts, l'azienda d'intrattenimento elettronico fondata da George Lucas che ha scritto pagine memorabili della storia dei videogiochi degli anni '80 e '90.

Una storia affascinante, in un periodo così lontano dell'informatica, quando l'Internet costava ancora troppo per i comuni sfigati e quando dovevi risparmiare mesi e mesi di paghette per comperarti quel banco di maledetta RAM da 1MB che ti serviva come il pane per far girare decentemente l'ultima avventura grafica della Lucas.
Una storia che oggi voglio proprio condividere con te!
Buona lettura!

OK, we'll spread out commando style!

Cos'è un'avventura grafica

Le avventure grafiche

Un'avventura grafica (in inglese, graphic adventure) è un genere di videogioco in cui l'utente interagisce con i personaggi, le situazioni, gli oggetti ed i luoghi della storia tramite un'interfaccia di tipo grafico.
È una tipologia di giochi elettronici nata come evoluzione delle avventure testuali, un genere di giochi in cui l'utente interagisce con il calcolatore per mezzo di output/input esclusivamente sotto forma di testo stampato a video.

L'interfaccia delle avventure grafiche è spesso un connubio di icone/testi (soprattutto, verbi per le azioni), ma non mancano anche esempi di interfaccie totalmente grafiche, specie per i titoli prodotti dalla fine degli anni '90 in poi.
Solitamente, l'utente controlla il personaggio o i personaggi principali tramite un dispositivo di puntamento ottico (mouse, trackpad, ecc ecc.), ma ci sono giochi dove si possono usare anche joystick, joypad e tasti della tastiera alfanumerica.
Spesso il controllo e l'interazione dell'utente con il gioco è chiamato 'punta e clicca', poiché i comandi sovente necessitano di un puntamento e di un click da parte di mouse o trackpad.
Con l'avvento degli smartphone ed i tablet, il controllo può anche essere esercitato direttamente in maniera tattile.

La caratteristica principale delle avventure grafiche è la presenza di enigmi o comunque azioni da intraprendere per andare avanti nella storia: tutti i giochi di questa tipologia infatti permettono il loro svolgimento per così dire 'a tappe', ossia quando l'utente risolve un determinato problema o sblocca una tale situazione.
La quantità e la varietà delle azioni interattive è pressoché infinita: si va dal semplice parlare con un tale personaggio all'assemblaggio complesso di oggetti passando per il dover fare o dare qualcosa ad un personaggio non giocabile, per un'enorme offerta di possibilità, il cui unico limite è la fantasia dei programmatori.
Tali soluzioni, apparentemente statiche, sono concettualmente le stesse dei moderni action game che presentano obiettivi per mandare avanti la trama.

A differenza delle produzioni attuali, le avventure grafiche degli anni '80 e '90 erano sviluppate per calcolatori infinitamente meno potenti di quelli d'oggigiorno: la memoria RAM era molto limitata, e le CPU avevano una capacità di calcolo non comparabile con quelle attuali.
Ancora, la risoluzione video era considerata 'alta' quando raggiungeva i 640x480 pixel, e c'era il limite dei 256 colori su schermo in contemporanea.
Almeno fino alla metà degli anni '90, non esistevano co-processori grafici per l'accelerazione in 3D, e questo limitava enormemente le possibilità di sviluppo, datosi che la CPU (già oberata di lavoro) doveva occuparsi di tutto il calcolo tridimensionale.

La soluzione della bidimensionalità con non troppe cose animate contemporaneamente (tipico delle avventure grafiche) era quindi una soluzione pressoché forzata.
Il genere fu molto in voga fino all'avvento di hardware capace di supportare decentemente il calcolo in 3D: questo, assieme alla maggiore capienza dei supporti di distribuzione e d'archiviazione, permise ai programmatori di sviluppare giochi non necessariamente statici, e di costruire mondi in cui i personaggi potevano interagire molto più efficacemente (e soprattutto, con controlli diretti).

David Bowie ed il suo labirinto magico

Labyrinth con David Bowie

Nel 1986 il regista Jim Henson, già famoso per aver creato i celebri Muppets negli anni '50, ebbe l'idea di girare un film fantastico per ragazzi ambientato in un labirinto magico.
Si fece aiutare nella trama da Dennis Lee e Terry Jones dei "Monty Python", e venne così prodotto "Labyrinth - Dove tutto è possibile".

Labyrinth con David Bowie

Il film fu abbastanza celebre all'epoca per la storia molto originale, per mostriciattoli e personaggi fantastici particolarmente graditi dai più piccini e per la recitazione di David Bowie, che interpretava il subdolo Jareth, re dei goblin.

Per spingere il film, che si rivelò un discreto successo al botteghino, la produzione decise di rivolgersi alla Lucasfilm Games, la giovane software house fondata da George Lucas, il padre della saga di "Star Wars" ed "Indiana Jones".
Venne così prodotto il videogioco "Labyrinth: The Computer Game" per i sistemi Apple II, Commodore 64, MSX2 e NEC PC-8801, in un progetto con a capo David Fox, autore che diventerà poi figura importante nell'organigramma societario di lì a poco.

Labyrinth con David Bowie

Il titolo non segue la trama del film, ma tratta di un binario parallelo, in cui il giocatore è esso stesso portato da Jareth nel labirinto, da cui dovrà uscire e nel frattempo potrà incontrare i personaggi della pellicola.
La particolarità è che ci sono solo 13 ore per finire il gioco, pena il game over.
Sebbene di realizzazione tecnica non eccelsa anche per l'epoca "Labyrinth" è comunque il primo gioco di un certo spessore sviluppato dalla Lucasfilm Games: non è esattamente una pura avventura grafica, datosi che contiene ampie parti testuali, però il titolo da già un'idea di quella che sarebbe stata l'impostazione delle future avventure della software house.

Il sistema di controllo dell'avventura sarebbe dovuto essere lo SCUMM, ma i tempi di sviluppo dell'applicazione di supporto - che diventerà estremamente famosa negli anni a venire - si prolungarono parecchio, e quindi i programmatori dovettero optare per un'altra soluzione.

Labyrinth con David Bowie

Datosi che all'epoca i dispositivi di puntamento ottico (mouse) erano abbastanza rari, il controllo del personaggio e delle sue azioni era governato da un joystick e dai tasti sulla tastiera, che attivavano i verbi con i nomi degli oggetti o delle persone.
Per interagire con l'ambiente, si dovevano combinare tutti e tre i comandi, e l'operazione era spesso macchinosa, anche se di certo migliore di quella delle pure avventure testuali.

Il gioco aveva puzzle molto ben congeniati, e fu un discreto successo negli Stati Uniti, riscuotendo più consensi del film.
Sebbene non un titolo eccezionale da tramandare ai posteri, "Labyrinth: The Computer Game" è importante però perché segna l'inizio di un lungo periodo felice nel mondo dei videogames: un periodo in cui l'occhio dorato della Lucas regalerà momenti indimenticabili a milioni di ragazzi in tutto il mondo.

Maniac Mansion e l'inizio dell'epopea delle avventure grafiche

Maniac Mansion del 1987

Immaginate di essere negli Stati Uniti d'America di fine anni '80, e di essere giovanotti e fidanzati con una bella ragazza, che viene improvvisamente rapita da uno scienziato pazzo e portata nella sua casa-laboratorio... Accanto alla quale è appena caduto un gigantesco meteorite, il cui influsso sembra avere effetti nefasti sulla psiche delle persone.
Ovviamente non avvertirete mai la polizia, ma chiamati un paio d'amici vi precipitereste alla villa, sfidando le follie del suo interno per ricongiungervi con la vostra amata, e far luce sul mistero del meteorite.

Maniac Mansion del 1987

Beh, se la trama vi sembra uscita direttamente da un 'B-movie', non vi state sbagliando più di tanto: "Maniac Mansion" è esattamente ispirato ai film horror di serie B americani degli anni '50 e '60, immaginato inserendo gag comiche e trovate umoristiche a getto continuo, per un gioco che è passato alla storia come primo, vero esempio di avventura grafica.

Uscito nel 1987, la trama vede il prode Dave Miller infrufolarsi assieme a due suoi amici alla villa di Fred Edison, uno scienziato abbastanza squinternato (con famiglia altrettanto fuori di testa) diventato ancora più sciroccato dopo l'impatto di uno strano meteorite proprio accanto alla sua magione.
Nel tentativo di salvare la sua ragazza Sandy dalle grinfie di Edison, Dave interagirà con le bislacche creature create dallo scienziato, dei tentacoli senzienti, oltre che gli altri pazzi membri della famiglia e la grande quantità di diavolerie presenti nella villa.

Maniac Mansion del 1987

Il gioco, graficamente eccezionale per i tempi ed originariamente sviluppato per Commodore 64, introduce per la prima volta l'interfaccia SCUMM (Script Creation Utility for Maniac Mansion) che facilita di molto l'interazione umana con i personaggi e che diventerà uno dei cavalli di battaglia delle avventure grafiche future della futura LucasArts.

Tutta l'avventura si svolge nella villa degli Edison, e sebbene sia del 1987, il titolo permette al giocatore di scegliere i due personaggi da affiancare a Dave in una selezione di sei: anche il finale dell'avventura può variare a seconda dei personaggi scelti, e queste caratteristiche lo facevano concettualmente molto avanzato, per l'epoca.

I personaggi selezionabili non sono tutti uguali: ognuno ha un'abilità particolare, che può essere usata per risolvere gli enigmi presenti nel gioco; questo fatto, unita ad una certa arbitrarietà nella risoluzione dei puzzle (tipica del periodo, per nulla 'gentile' con il videogiocatore) rende il titolo abbastanza difficile da completare.

Maniac Mansion del 1987

"Maniac Mansion" e lo SCUMM sono frutto del lavoro di Ron Gilbert, vulcanico autore di videogiochi che diventerà una delle colonne portanti della Lucas, ed il gioco si rivelerà un grandissimo successo, tanto da venire programmato anche per altre piattaforme oltre al C64, come ad esempio i sistemi Amiga, Apple II, Atari ST, MS-DOS ed addirittura il Nintendo NES.

L'avventura grafica alla villa degli Edison è un primo, ma non per questo immaturo, ottimo esempio della filosofia dei giochi della Lucas: divertimento, umorismo, follia.
"Maniac Mansion" decreterà anche la fine definitiva delle avventure testuali: la grafica colorata, l'approccio visuale alla soluzione degli enigmi e la comodità dell'interfaccia SCUMM si rivelarono vincenti per il nuovo corso dei videogiochi di fine anni '80, che rimarranno di grande successo per quasi un decennio intero.

Zak McKracken and the Alien Mindbenders

Zak McKracken and the Alien Mindbenders

Nel 1988, Ron Gilbert convinse David Fox a sviluppare un'altra avventura grafica, stavolta basata sulla moda del periodo, ossia i complotti d'invasione aliena.
Nasce così "Zak McKracken and the Alien Mindbenders", uno dei giochi più bizzarri (e difficili) sviluppati dalla Lucasfilm Games.

La trama ruota attorno al mediocre e frustrato giornalista Zak McKracken, dipendente del giornale scandalistico 'National Inquisitor', che si trova - suo malgrado - a scoprire un terribile complotto alieno che mira a conquistare il mondo, attraverso una diabolica macchina che lentamente riduce l'intelligenza degli umani attraverso... Beh, la rete telefonica.

Zak McKracken and the Alien Mindbenders

Ispirato alle molto diffuse teorie sugli alieni, sui complotti e sulle civiltà antiche, "Zak McKracken and the Alien Mindbenders" prosegue il filone iniziato da "Maniac Mansion" e lo amplifica enormemente, portando l'avventura non più confinata in una villa, ma attorno a tutto il mondo (ed anche oltre).
La comicità e le assurde trovate di Ron Gilbert mirano quasi sempre all'ilarità, ed un certo grado di sarcasmo verso la società e verso pure le curiose forme 'New Age' che cominciavano ad essere tanto in voga in quel tempo.

Zak McKracken and the Alien Mindbenders

David Fox avrebbe voluto dare un'impronta decisamente più seria al titolo, ma Gilbert lo convinse a farlo diventare comico: la scelta fu decisamente azzeccata.
Il gioco fu sviluppato originariamente per Commodore 64, ma fu poi portato sui sistemi Amiga, Atari ST, MS-DOS e, solo per il mercato giapponese, FM Towns.

Esattamente come "Maniac Mansion", l'avventura è molto difficile da completare: anche in questo caso, il giocatore si trova di fronte a molti enigmi decisamente arbitrari, e l'uso di una guida è pressoché obbligatorio per superare le molte parti in cui - onestamente - è impossibile venire a capo della soluzione senza un aiuto esterno.

Indiana Jones e l'ultima crociata

Indiana Jones e l'ultima crociata

Nel 1989, Steven Spielberg e George Lucas, in collaborazione con Harrison Ford, decisero di produrre un nuovo episodio della famosa saga dell'archeologo più famoso del mondo: "Indiana Jones e l'ultima crociata", che vide al fianco di Ford anche la leggenda vivente Sean Connery, nel ruolo di Henry Jones Senior.
La Lucasfilm Games non restò con le mani in mano, ed assegnò a Ron Gilbert, David Fox e la banda di programmatori lo sviluppo di un titolo 'tie-in' per il nuovo film.

Il risultato fu "Indiana Jones and the Last Crusade: The Graphic Adventure", pubblicato per sistemi DOS, sistemi Amiga, Atari ST, Apple Macintosh, FM Towns ed anche il semi-sconosciuto Amiga CDTV.
È un gioco molto importante nella storia della Lucasfilm Games, in quanto, per la prima volta, il grande capo George Lucas autorizzò la produzione di un tie-in legato ad uno dei suoi marchi più famosi.

Indiana Jones e l'ultima crociata

Fino alla fine degli anni '80, Lucas aveva categoricamente proibito ai suoi programmatori e designer di usare "Star Wars" ed "Indiana Jones" come fonte d'ispirazione per i videogiochi, e principalmente per due ottimi motivi: la tecnologia e le possibilità multimediali dei computer ancora non lo convincevano del tutto e non voleva che i suoi ragazzi si adagiassero troppo sugli allori, sfruttando il successo di idee già ideate.

Lucas voleva prodotti originali per i suoi videogiochi, e possiamo ben dire che, col senno di poi, tale tattica risultò vincente.
Se si esclude "Labyrinth" (comunque, non un soggetto originale di Lucas) "Indiana Jones and the Last Crusade: The Graphic Adventure" è il primo titolo videoludico in assoluto ad aver ricevuto l'OK da George Lucas per la produzione: un gran bell'onore!

Indiana Jones e l'ultima crociata

Il passaggio definitivo ai processori a 16 bit fece un gran bene alla produzione: il titolo è graficamente molto ben dettagliato, e la trama segue più o meno fedelmente quella del film, ma la vera novità è la struttura del gioco, che include un sistema di punteggio IQ (ribattezzato 'Indy Quotient') e la possibilità di scegliere i percorsi durante le fasi della storia.

Sebbene sia un'avventura grafica, sono presenti però molte componenti action (ad esempio, gli scontri con i nazisti) e anche una semi-modalità 'stealth', nel castello di Brunwald.
Le fasi di pura lotta possono essere evitate in base alle scelte fatte, ed anzi, molti giocatori all'epoca le evitarono sistematicamente, datosi che gli scontri sono di una difficoltà estrema!

Indiana Jones e l'ultima crociata

"Indiana Jones and the Last Crusade: The Graphic Adventure" è un piccolo capolavoro della Lucasfilm Games: molte innovazioni presenti nel gameplay saranno riproposte nei successivi titoli prodotti, e l'alta giocabilità, unita ad una trama eccezionale e a puzzle incredibilmente azzeccati ne decretarono un grandissimo successo.

Forse proprio questo grande riscontro di pubblico convinse George Lucas a continuare la strada delle produzioni basate sui suoi cavalli di battaglia, che raggiungeranno presto la quasi totale saturazione di mercato con le - troppe - uscite di giochi della serie "Star Wars".

Loom

Loom

C'è un mondo, da qualche parte nell'universo, dove gli abitanti vivono in rigidi clan e non hanno contatti con altre popolazioni.
In uno di questi clan (quello dei tessitori) nasce Bobbin Threadbare, partorito in segreto dalla mamma che viene esilitata dal clan.

Divenuto ragazzo, Bobbin vedrà tutto il suo clan trasformato in uccelli, e dovrà avventurarsi in un lungo e solitario viaggio per fermare una misteriosa forza oscura chiamata Caos.
Con queste premesse, nel 1990, Brian Moriarty idea uno dei giochi più controversi ed alternativi di tutta la storia della Lucas, ossia "Loom".

Loom

Sempre mosso dallo SCUMM, il gioco ha un approccio del tutto particolare col giocatore: non sono presenti i classici comandi per azione, ma l'interfaccia prevedere le interazioni tramite melodia musicale.
L'avventura mette via via il giocatore in condizione di scoprire nuove melodie (chiamate trame) che, riprodotte in zone e momenti particolari, fanno proseguire con la storia, e sbloccare enigmi.
Un concetto di gioco innovativo anche ai giorni nostri, figuriamoci nel 1990!

Graficamente parlando, "Loom" è un videogioco che lascia abbastanza sbalorditi: le inquadrature cinematografiche ad ampio campo si sprecano, così come i primi piani e, in generale, una fotografia che da molta importanza ai paesaggi e alla visione panoramica.

Loom

Tutti elementi decisamente nuovi nel mondo delle avventure grafiche del 1990, che prima di "Loom" subivano un po' la sindrome del 'teatro', ossia inquadrature molto ristrette e statiche, circoscritte in stanze o comunque luogni abbastanza angusti.
La spettacolarità delle inquadrature è possibile grazie ad un complesso 'scaling', ossia un sistema in grado di rimpicciolire od ingrandire i personaggi a seconda della loro posizione prospettica sullo schermo.

Uscito per i sistemi Amiga, MS-DOS, Mac OS, Atari ST, TurboGrafx 16 e FM Towns, "Loom" è una vera e propria gemma nascosta del periodo: fu molto apprezzato dalla critica e dalle riviste specializzate, ma non fu esattamente un campione di vendite, tanto da venire presto dimenticato dai più.
Brian Moriarty dichiarò poi che era sua intenzione produrre una trilogia, trasformando il gioco in una saga, che però non si realizzò mai.
"Loom" è il classico gioco che non scende a patti, di nessun genere: o si odia o si ama.
Troppo particolare per essere apprezzato da chi è completamente a secco di avventure grafiche, troppo esotico anche per chi invece è cresciuto a pane, point and click.
Deve piacere, punto e basta.

The Secret of Monkey Island

The Secret of Monkey Island

Nei pericolosi mari dei caraibi del 1600 c'è un ragazzino con le rotelle non completamente a posto, dal nome ridicolo di Guybrush Threepwood, e con in testa un'idea altrettanto ridicola (considerando la sua costituzione fisica): diventare un temibile pirata.
Sbarcato sull'isola di Mêlée , s'imbatterà in una serie di strampalate e ben poco credibili avventure, che lo porteranno a conquistare il cuore della bella governatrice Elaine Marley e a scontrarsi faccia a faccia col tremendo pirata fantasma LeChuck, che diventerà la sua vera e propria nemesi.

The Secret of Monkey Island

Partorito dalla vulcanica mente di Ron Gilbert nel 1990, "The Secret of Monkey Island" è un gioco arrivato ad essere considerato leggenda, talmente famoso da cambiare da solo il concetto di avventura grafica e dare il via ad un'impressionante mania che si propagherà per tutto l'ultimo decennio del '900.
A ben vedere, tutto questo entusiasmo il gioco lo merita pienamente: l'avventura segna il via definitivo a quell'insana, folle e bellissima vena surreale della LucasArts, che troveremo poi in tutti i giochi prodotti fino alla sua scomparsa dal mercato.

La cosa meravigliosa del titolo è che è una storia dannatamente seria - a tratti inquetante - ma grazie all'idiozia dei personaggi principali risulta un'avventura totalmente comica.
L'idea originale di Gilbert è stata affiancata dall'aiuto fondamentale di Tim Schafer e Dave Grossman, altri due ragazzi che, di lì a breve, diventeranno molto famosi nella storia della LucasArts e dei videogame in generale.

The Secret of Monkey Island

Come da personale concezione del genere dell'avventura grafica di Gilbert, il gioco non permette la morte del protagonista, mentre ogni obiettivo è chiaramente identificabile e consente l'avanzamento della storia.
Il giocatore non dev'essere punito per aver deciso d'esplorare il gioco e, soprattutto, deve essere messo in condizione di portare a compimento il titolo, senza intrufolarsi in vicoli ciechi e situazioni di stallo: la soluzione dev'essere sempre possibile, anche se difficile da capire.
Tali concetti fondamentali saranno poi introdotti in ogni successiva avventura prodotta dalla LucasArts, e saranno copiati da tutte le altre software house del periodo (a cominciare dalla famosa Sierra).

Graficamente "The Secret of Moneky Island" venne sviluppato inizialmente a soli 16 colori, ed i designer Steve Purcell e Mike Ebert fecero un bel po' di miracoli per riuscire ad ottenere un risultato di qualità: non a caso, suggerirono a Gilbert di ambientare molte parti di notte, nell'oscurità, permettendo così di usare principalemente i colori blu e nero, e riservarsi così la restante palette per personaggi e tutto il resto.

The Secret of Monkey Island

Con l'avvento delle nuove schede VGA (praticamente contemporaneo alla pubblicazione del gioco) la Lucas fece riconvertire tutto il titolo a ben 256 colori, ed il lavoro non fu per nulla semplice: fu necessario un team specifico, che peraltro lavorò con tempi incredibilmente ristretti (solo un mese).
Il risultato fu comunque ottimo: la grafica ricolorata era decisamente migliore, ed il titolo ne acquistò di molta popolarità nel mercato degli adolescenti dell'epoca.

The Secret of Monkey Island

Fu una popolarità lunga e duratura: nel 1992, due anni dopo la sua prima uscita, venne commercializzata una versione su CD-ROM, con l'interfaccia grafica rivista e tutte le musice su tracce audio (sintetizzate, quindi non molto dissimili dalla versione floppy).

The Secret of Monkey Island
Il remake "Monkey Island Special Edition" del 2009

Nel 2009 è stata pubblicata la "The Secret of Monkey Island Special Edition" per svariate piattaforme (Windows, MacOS, iOS, XBox, Playstation ed anche Android).
Tale versione è stata completamente ridisegnata in HD a 1920x1080, contiene tracce audio riarrangiate ed è interamente doppiata in inglese.

Monkey Island 2: LeChuck's Revenge

Monkey Island 2 : LeChuck's Revenge

A volte ritornano.
E finché si tratta dei brufoli, poco male: il problema si fa più serio quando a ripresentarsi è un cattivissimo e tremendo pirata fantasma che vi odia a morte, e che è stato riportato in vita come micidiale zombie dai poteri infernali.
Ovviamente, tale mostruosa creatura è il bieco LeChuck, e il suo chiodo fisso siete voi, che impersonificate Guybrush Threepwood, ora cresciuto abbastanza - nella sua idiozia - da farsi spuntare sulla faccia un abbozzo di barba, andandosene in giro a raccontare a destra e manca di come sia riuscito a sconfiggere la sua fantasmagorica nemesi.

Purtroppo per il pirata più deficente dei caraibi, il suo girovagare alla ricerca del favoloso tesoro 'Big Woop' lo porterà nell'isola governata da Largo LaGrande, un ex scagnozzo di LeChuck, che userà un pezzo di barba del suo defunto capo tenuto come trofeo di guerra da Guybrush per riportarlo in vita sotto le sembianze di un tremendo e potentissimo pirata zombie.

Monkey Island 2 : LeChuck's Revenge

Manco a dirlo, il primo pensiero del malvagio bucaniere tornato nel mondo dei vivi sarà mandare nel mondo dei morti Guybrush, colpevole di averlo sconfitto nel primo episodio della saga.
Al prode - si fa per dire - Threepwood non resterà che mettersi alla ricerca dell'unica cosa che lo potrà salvare dal suo arci-nemico, ossia proprio il tesoro di 'Big Woop': grazie ad esso è infatti possibile ottenere l'immortalità, proprio come quella ottenuta da LeChuck, ultimo scopritore del tesoro.

Ma la strada per l'isola del mitologico tesoro sarà ardua oltre ogni dire: ci sarà da avventurarsi in una gara di sputi, preparare bambole voodoo e, ovviamente, evitare di farsi accoppare da LeChuck.
Dopo il grandissimo successo di "The Secret of Monkey Island", Gilbert e i ragazzi della LucasArts partoriscono l'ennesimo capolavoro, forse il titolo più epico dei primi anni '90, e di sicuro un gioco che per vastità e longevità riuscì ad inchiodare davanti al monitor milioni di ragazzi di quel periodo.

Monkey Island 2 : LeChuck's Revenge

Nonostante i ridottissimi tempi di sviluppo imposti dall'alto (neppure un anno pieno), Gilbert riuscì a superare il lavoro del primo capitolo, proponendo un seguito che surclassa il suo predecessore da pressoché ogni aspetto: grafica, design generale, complessità degli enigmi e, soprattutto e come già ribadito, una durata maggiorata, ed un livello di sfida per la prima volta selezionabile a piacere dal giocatore.

All'ìnizio dell'avventura, infatti, il gioco permette di scegliere tra due differenti modalità: una versione diciamo 'lite', con meno enigmi ed ambientazioni tagliate, e una versione completa, abbastanza complessa e molto lunga, che poi è la versione standard del gioco.
Questa libertà di scelta fu necessaria sia per accontentare gli esperti delle avventure grafiche, che erano rimasti soddisfatti da "The Secret of Monkey Island" ma lo avevano trovato un po' troppo corto, e gli utenti novizi, poco avvezzi alla risoluzione degli enigmi.
Il risultato accontenta tutti, anche se, ovviamente, la gran parte degli utenti snobbò quasi completamente la versione ridotta.

Monkey Island 2 : LeChuck's Revenge

"Monkey Island 2 - LeChuck's Revenge" è per davvero uno di quei titoli capaci di sbancare completamente il mercato, e identificare nuovi standard per il genere: non a caso, è ancora oggigiorno ricordato come una delle pietre miliari dei videogiochi, e non solo in ambito di avventura grafica.
Lo SCUMM fu modificato ed aggiornato per il nuovo gioco, rendendolo molto più visivo e meno testuale: sparirono i nomi degli oggetti in cambio del loro disegno iconico, ed anche il menù dei comandi fu rivisto.

Il gioco uscì per MS-DOS (sia versione floppy che CD-ROM), Apple Macintosh, FM-Towns e sistemi Amiga.
Le versioni MS-DOS giravano con una risoluzione VGA a 256 colori ed una risoluzione di 320x200 pixel, mentre la versione Macintosh poteva godere di un upscaling fino a 640x480 pixel (con anti-aliasing).
I possessori di Amiga dovettoro aspettare sei mesi per il porting sui loro sistemi, che comunque si rivelò molto ben riuscito: 32 colori su schermo teorici, ma reali fino a 55 utilizzando il noto trucchetto del palette switching, molto conosciuto tra i programmatori della piattaforma Commodore.

Monkey Island 2 : LeChuck's Revenge

Purtroppo, al momento della produzione del porting, la nuova linea degli Amiga 1200/4000 non era ancora stata immessa nel mercato, e perciò il gioco non potè essere ottimizzato per i nuovi chipset AGA.
Un vero peccato, considerando che con la nuova CPU ed i coprocessori aggiuntivi il porting sarebbe potuto essere se non uguale addirittura superiore alla versione DOS.
Musicalmente parlando, "Monkey 2" è un pezzo di storia della programmazione: Gilbert volle che l'accompagnamento sonoro fosse sempre presente durante il gioco (cosa insolita per i videogiochi di allora), e questo comportò l'ideazione di un sistema dinamico di variazione sonora, chiamato iMUSE (acronimo di Interactive Music and Sound Effects).

In pratica iMUSE era un motore sonoro, un programma molto avanzato per l'epoca che eseguiva il cambio di traccia MIDI a seconda delle azioni del giocatore.
Questo permetteva al comparto sonoro di non annoiare durante le lunghe sessioni di gioco, e risultava anzi vincente anche a livello prettamente cinematografico: le azioni di Guybrush acquisivano più incisività con motivi creati ad hoc, a seconda dell'azione stessa.
Anche di questo gioco è uscito nel 2010 il remake, intitolato "Monkey Island 2 - Special Edition LeChuck's Revenge" con una nuova grafica rivista in HD, doppiaggio in inglese e la possibilità di passare al volo dalla nuova edizione a quella storica.

Indiana Jones and the Fate of Atlantis

Indiana Jones and the Fate of Atlantis

Un brand di successo, si sa, comporta quasi sempre un'accurata gestione della sua stessa immagine.
Molto spesso la cosa è più facile a dirsi che a farsi, specie quando ti chiami Indiana Jones ed ogni tuo film, o prodotto collegato alla tua frusta ed al tuo fedora, è sinonimo di altissima qualità.
Quando poi il tuo creatore si chiama George Lucas, tutto diventa molto, molto più complicato: devi avere veramente un prodotto vincente, per farti chiamare ufficialmente professor Jones.

Indiana Jones and the Fate of Atlantis

Con "Indiana Jones and the Last Crusade" ed il successo del 'tie-in' al film collegato, i piani alti della Lucasfilm Games, ormai rinominata LucasArts, avevano capito che anche un videogioco di Indy poteva tranquillamente essere un ottimo business.
Con queste premesse, nel 1992 Hal Barwood presenta al pubblico l'ultima fatica della LucasArts in fatto di avventure grafiche, ossia "Indiana Jones and the Fate of Atlantis".

Per la prima volta nella storia del mondo elettronico dell'archeologo più famoso del mondo, l'avventura è un prodotto originale, e non un tie-in.
Questo permette agli sviluppatori di svariare per lungo e per largo in tutto quello che è il marchio di fabbrica di Indy (azione, avventura, mistero, ironia) senza preoccuparsi troppo di seguire un copione già scritto, ma anzi inventandone uno ex novo.

Indiana Jones and the Fate of Atlantis

I risultati sono talmente eccellenti che, per moltissimi anni, i fan del professor Jones chiesero a gran voce il quarto film della saga ispirato all'avventura grafica del 1992.
La storia è ambientata nel 1939, proprio alla vigilia del secondo conflitto mondiale.
Klaus Kerner, un agente del terzo Reich interessatissimo al mito di Atlantide, porterà Indiana Jones e la sua bizzarra collega Sophia Hapgood a viaggiare per mezzo mondo, alla ricerca del mitico continente perduto.

Opera abbastanza mastodontica per l'epoca, "Indiana Jones and the Fate of Atlantis" è universalmente considerata una delle migliori avventure grafiche non solo della LucasArts, ma di tutto il genere di qualsiasi epoca: la possibilità di scegliere tre diversi percorsi della storia (azione, squadra, ingegno), la trama avvincente e la giocabilità semplicemente perfetta ne decretarono il grandissimo successo, rendendolo veramente un classico della Lucas.

Indiana Jones and the Fate of Atlantis

La grafica non è dettagliata e con gli sfondi disegnati a mano come in "Monkey Island 2- LeChuck's Revenge" (colpa di una lavorazione del titolo cominciata quasi due anni prima), ma è comunque sicuramente valida: l'atmosfera dei film di Indy è ricreata benissimo anche a 16bit, ed il comparto sonoro è affidato ancora all'ottimo motore iMUSE, che garantisce la dinamicità della soundtrack esattamente come nel secondo capitolo delle avventure di Guybrush.
Fu pubblicato per i sistemi MS-DOS, Amiga, FM Towns e Mac OS, ed è stato riproposto per il download digitale nel 2009 su Steam.

Day of the Tentacle

Day of the Tentacle

Vi ricordate dello svitato dottor Fred Edison, capofamiglia folle dell'ancor più sciroccata famiglia antagonista di Dave e dei suoi amici in "Maniac Mansion"?
Beh, cinque anni dopo tali fatti, tentacolo Viola, la bizzarra creatura dagli istinti non troppo amichevoli partorita dall'insana mente del dottor Fred, ha la brutta idea di abbeverarsi in un rigagnolo tossico dietro al laboratorio di villa Edison.
La miscela del Melm-O-Matic rende Viola iper-intelligente e dotato di due braccine prensili, con le quali ha subito l'idea di... Governare il mondo, spazzando via la razza umana come specie dominante, per metterci invece i tentacoli.

Day of the Tentacle

Fortunatamente, il bonaccione tentacolo Verde riesce a mandare - via criceto - una richiesta d'aiuto al suo amico Bernard Bernoulli, lo sgangherato nerd co-protagonista di "Maniac Mansion".
L'occhialuto secchione partirà così, assieme ai suoi amici Laverne e Hoagie, in una missione di salvataggio tutta da ridere, tornando a villa Edison per impedire un orribile futuro governato dal dispotico tentacolo Viola.

Come dite? Vi sempra troppo assurdo anche per un'avventura Lucas?
Beh, non avete tutti i torti: "Day of the Tentacle - Maniac Mansion 2" è forse (assieme a "Grim Fandango") la più folle e surreale avventura mai concepita e prodotta dalla LucasArts, frutto della lucida follia di Tim Schafer e Dave Grossman, rispettivamente game designer e capo progetto.
Il gioco è ribattezzato subito 'cartoon adventure', e bastano poche occhiate ad una qualsiasi schermata del titolo per capire il perché: è per davvero un cartone animato, peraltro graficamente eccellente.
Sono passati 'solo' cinque anni da "Maniac Mansion", ma sembrano passati cinque secoli: l'avventura è perfettamente calibrata, e raggiunge livelli di giocabilità sublimi, mai toccati prima da qualsiasi altra produzione Lucas (neppure dagli eccellenti "Monkey Island").

Day of the Tentacle

La demenzialità, geniale, surreale ma mai fine a sé stessa, conduce il giocatore passo passo da una gag all'altra, in un tripudio di comicità e scanzonaggine che ripercorrerà addirittura tutta la fondazione degli Stati Uniti d'America, proponendo sul monitor la versione 'Made in Lucas' dei padri fondatori degli Stars: Washington, Hancock, Franklin e Jefferson, oguno di loro caratterizzato da sbellicarsi dalle risate.
"Day of the Tentacle" eredita dal suo predecessore anche il controllo di tre personaggi principali: Bernard, Hoagie e Laverne dovranno essere manovrati con sapienza, datosi che le loro azioni necessiteranno di coordinazione nelle tre linee temporali in cui il gioco si svolgerà.

Day of the Tentacle

Già, perché la trovata geniale del titolo è data proprio dall'elemento del tempo, mai così 'relativo' come in questo gioco: dopo un primo breve prologo, il giocatore vedrà diramarsi la trama tra tre epoche differenti (presente degli anni '90 del 1900, periodo coloniale americano del 1700, futuro distopico governato da tentacolo Viola).

Ogni azione fatta nel passato ha effetti sulle situazioni future, e questo permette la risoluzione di enigmi fantastici, ben calibrati e assolutamente appaganti da risolvere.
Il gioco fu un successo strepitoso: uscito dapprima per MS-DOS, fu poi portato anche su Macintosh nel 1995 e poi ancora su Windows, quasi dieci anni dopo la sua uscita.

Day of the Tentacle

Fu commercializzato per MS-DOS in due versioni: la prima in floppy disk e la seconda in CD-ROM; quest'ultima è totalmente doppiata in inglese, e presenta anche una sequenza animata d'inizio che nella versione su dischetto non è presente.
Per Macintosh, fu pubblicato solo nell'edizione CD-ROM.
All'epoca, i doppiaggi totali delle avventure grafiche (e dei giochi in generale) erano considerati una cosa abbastanza stravagante, e non la norma come invece capita oggigiorno.

Per dare un'idea precisa di quanto un doppiaggio potesse incidere sulla produzione, basta considerare che il costo totale di "Day of the Tentacle" fu di circa 600,000 dollari americani; la metà di questi furono utilizzati per il doppiaggio, che necessitò della registrazione di 4.500 battute.
Nel 2016 la Double Fine ha messo in commercio, per svariate piattaforme (anche quelle mobili PS Vita e iOS) la versione remastered in HD del titolo: presenta una grafica portata widescreen e non più 'pixellosa' e molti contenuti extra, per la gioia degli appassionati.

Sam & Max hit the road

Sam & Max hit the road

In una surreale America popolata da animali antropomorfi, dal luna-park dei fratelli Kushman è misteriosamente sparita la principale attrazione, ossia Bruno il bigfoot.
Per tentare di ritrovare il prezioso animale, vengono assoldati Sam e Max, una stralunata coppia di detective formata da un grosso cane dal vocabolario molto forbito (Sam) e un coniglio bianco totalmente schizzato, dall'irrefrenabile iper-violenza e dai denti d'acciaio, tale Max.

Sam & Max hit the road

I due investigatori privati gireranno in lungo ed in largo gli Stati Uniti d'America per risolvere l'intricato caso del bestione scomparso, in un'avventura totalmente fuori di testa, ideata dal genio di Steve Purcell.
Un anno dopo "Day of the Tentacle" la LucasArts propose un'altra avventura grafica in stile cartone animato, stavolta però molto più cinica, tagliente e grottesca: diventerà subito una delle più amate dai fan.
Oltre alla bellissima grafica fumettosa, il titolo presenta una fondamentale variazione dello SCUMM: sparisce infatti il sotto-menu testuale tipico delle avventure grafiche (non solo della Lucas) e viene presentato un menù a scomparsa e un cursore sensibile al contesto, che cambia di forma a seconda del livello d'interazione di personaggi, oggetti e scenari.

Sam & Max hit the road

Non è una vera e propria novità, in quanto altri giochi della Sierra avevano già da tempo introdotto l'innovazione, ma a differenza degli altri titoli l'interfaccia di "Sam & Max hit the road" presenta la fondamentale funzionalità degli 'hotspot', che agevolano moltissimo l'interazione umana (a patto di farci però l'abitudine).
Il gioco risulta godibilissimo, una delle migliori esperienze del genere delle avventure grafiche: guidare Sam e Mx attraverso la loro sconclusionata America è davvero piacevole e mai frustrante, sebbene alcuni enigmi siano abbastanza ostici da superare.

Sam & Max hit the road

Fu inizialmente proposto in due versioni: floppy disk e CD-ROM (quest'ultima, interamente doppiata in inglese), per sistemi MS-DOS.
Fu poi portato su Macintosh nel 1995, e poi riconvertito ancora per Windows all'inizio degli anni 2000.

Nel 2002 la LucasArts annunciò una nuova avventura per i due stravaganti detective, chiamata "Sam & Max Freelance Police": sarebbe dovuta essere una graphic adventure classica, sebbene con grafica moderna - per l'epoca - in 3D, sulla falsariga di "Grim Fandango" ma con controllo puramente 'punta e clicca'.

Sam & Max hit the road

Il gioco si rivelò purtroppo un vaporware, ossia un titolo che non avrebbe mai visto la luce: rimandato più volte, per i gravi problemi finanziari della LucasArts e per il drastico calo d'interesse del mercato per il genere delle avventure grafiche fu definitivamente cancellato verso la fine degli anni 2000.
Dan Connors, curatore del progetto, se la prese talmente a male che fondò la TellTale Games, che in seguito sarebbe diventata la prima software house al mondo specializzata in avventure grafiche moderne, e che avrebbe riproposto Sam e Max in una nuova veste e moltissimi giochi suddivisi in varie stagioni annuali.

Full Throttle

Full Throttle

In un futuro abbastanza inquietante, vagamente ispirato all'universo di "Mad Max", tutti i veicoli a motore si muovono per levitazione, stile hovercraft.
Gli unici che si rifiutano di adeguarsi al cambiamento sono i biker che, radunati in bande, scorrazzano con le loro moto a ruote sulle autostrade di un'America semi-nuclearizzata.

Il rude Ben è il capo di una di queste bande di motociclisti, chiamata Polecats, e suo malgrado si troverà immischiato in un colpotto teso ad assassinare Malcolm Corley, il proprietario della Corley Motors, l'utima fabbrica di motociclette ancora esistente negli USA.
Incolpato dell'omicidio, in realtà ordinato dal bieco Adrian Ripburger, Ben dovrà darsi molto da fare per cercare di venire a capo del brutto affare, e salvarsi così da un destino dietro le sbarre (o tre metri sotto terra).

Full Throttle

Con queste premesse, nel 1995, la LucasArts presentò la più cruda e dura delle sue avventure grafiche, "Full Throttle".
Pubblicata esclusivamente su CD-ROM, in un periodo in cui la molto più vasta capacità d'archiviazione del supporto ottico dava maggiori possibilità agli sviluppatori, l'avventura di "Full Throttle" fu condotta da Tim Schafer, già ideatore dell'apprezzato "Day of the Tentacle".

Il titolo di discosta abbastanza dai canonici lavori LucasArts per la molto meno marcata presenza di umorismo demenziale (è quasi del tutto assente), per la storia narrata decisamente seria e matura e per un sistema di controllo dello SCUMM totalmente rivisto: un po' come in "Sam & Max hit the road" tutto viene controllato senza menù tesuale, con un mini-menù stile 'pop-up' che appare cliccando e tenendo premuto il tasto sinistro sopra l'oggetto/personaggio/punto sensibile della schermata.

Full Throttle

"Full Throttle" presenta anche parti squisitamente arcade, ed anche abbastanza impegnative (come la battaglia delle autoscontro), mentre è presente un ottimo doppiaggio di livello cinematografico, eseguito da attori professionisti e non giovani di belle speranze come nei titoli passati.
Fu un gioco abbastanza discusso, alla sua uscita: alcuni lodarono l'ambientazione e l'ottimo comparto grafico e sonoro, sottolineando anche l'originalità di una produzione che si discostava dai canoni cartooneschi e demenziali delle uscite Lucas precedenti.

Full Throttle

Di contro, molti dei fan rigettarono completamente il titolo: troppo serio, troppo rigido nella sua storia 'hard boiled sulle due ruote', troppo concentrato sui contenuti estetici e poco sugli enigmi e la giocabilità.
Tutte accuse fondamentalmente vere: il gioco è fin troppo lineare, gli enigmi sono abbastanza banali e non è permesso neppure di combinare gli oggetti nell'inventario.

Col tempo, comunque, "Full Throttle" è diventato un piccolo cult tra gli appassionati, tanto da essere ripubblicato nel 2007 dall'Activision.
All'inizio del 2000, nei piani della LucasArts (prossima al fallimento) c'era quello di produrre un sequel intitolato "Full Throttle - Hell on Wheels": sarebbe dovuto essere un misto tra un action game e un'avventura ad enigmi, ma il poco consenso dell'allora mercato e la crisi finanziaria dell'azienda ne troncarono la realizzazione.

The Dig

The Dig

Ci sono giochi che hanno uno sviluppo che dire travagliato e complicato è veramente dir poco, ma che poi, una volta usciti, valgono ogni minuto speso ad aspettarli: "The Dig" del 1995 è tra questi.
Iniziato ad essere abbozzato già dal 1989, il gioco vede la partecipazione addirittura di Steven Spielberg, ed è considerato una della avventure grafiche migliori di sempre, e non solo nell'ampia produzione LucasArts.
La storia è di natura fantascientifica: un gigantesco asteroide, chiamato Attila, è in rotta di collisione con la Terra.

The Dig

Per fermarlo prima della catastrofe, viene inviata una squadra composta da cinque astronauti, con il compito di scavare la sua superficie (da qui il nome del gioco) e piazzare delle cariche atomiche all'interno, facendolo così esplodere.

La spedizione però scoprirà che l'asteroide è in realtà cavo, e che al suo interno sono presenti degli artefatti di origine aliena che, attivati molto poco prudentemente, trasportano gli astronauti in un pianeta sconosciuto, sicuramente un tempo abitato ma che ora sembra abbandonato.
La missione diventa quindi quella di riuscire a tornare sulla Terra, dopo aver fatto luce sulla misteriosa civiltà che popolava il pianeta alieno.

The Dig

Insomma, la trama sembra uscita proprio da un film di Spielberg, e bisogna dire che è perfettamente consona alla sua natura di regista e sceneggiatore: la storia è di puro sci-fi, e non sfigurerebbe affatto trasportata al grande schermo.
"The Dig" è veramente un grande gioco, che ha un solo - purtroppo considerevole - difetto: uscì troppo tardi, dopo uno sviluppo durato ben oltre il tempo necessario.

Nel 1995 la dimensione a video di 320x200 già cominciava ad essere abbastanza obsoleta, e questo influì molto sulla resa grafica finale del gioco, penalizzata oltremisura dalla bassa risoluzione: i fondali sono spesso molto belli, così come le animazioni dei personaggi; fosse uscito in 640x480 sarebbe stato ricordato sicuramente come uno dei più impressionati (graficamente parlando) dei tempi, ma così non fu.
L'avventura grafica è anche universalmente riconosciuta come una delle più ostiche e difficili da completare: alcuni enigmi sono veramente ardui ed arzigogolati, e per ampie parti è possibile sperimentare la vera frustrazione di non riuscire a proseguire, il che per un gioco Lucas post-era Gilbert è abbastanza inusuale.

The Dig

Un titolo in definitiva eccezionalmente valido, che però sarebbe dovuto uscire con un paio d'anni d'anticipo: così non è stato, e questo ha influito pesantemente sul suo successo.
Sicuramente non è per i 'casual gamers': è complesso, intricato nella risoluzione, dalla trama che necessita di molta attenzione e veramente impegnativo, anche per un utente esperto di avventure grafiche.
Però, se si supera l'iniziale difficoltà d'apprendimento, il gioco ripaga con un'esperienza unica e totalmente appagante.

La maledizione di Monkey Island 

La maledizione di Monkey Island 

Cosa c'è di peggio che trovarsi al largo di Plunder Island nufragati a bordo di una macchinina dell'autoscontro?
Semplice: trovarsi al largo di Plunder Island naufragati a bordo di una macchinina dell'autoscontro nel bel mezzo di un cannoneggiamento spaventoso tra la ciurma del tremendo pirata non-morto LeChuck ed il fortino della bella ed autoritaria governatrice Elaine Marley.
Il terzo episodio della serie di "Monkey Island" comincia esattamente così, con Guybrush Threepwood, il disadattato aspirante pirata protagonista dei primi due episodi, a confrontarsi direttamente con i balordi della sua nemesi LeChuck, intenti ad attaccare l'isola di Plunder Island.

La maledizione di Monkey Island 

Con un bel po' di buona sorte, Guybrush riesce a far saltare la nave pirata e costringere così LeChuck alla ritirata, ma tra i tesori recuperati nella stiva della nave corsara trova un anello con tanto di enorme diamante, che decide di mettere al dito della sua Elaine come promessa di matrimonio.
L'anello si rivelerà maledetto, trasformando la ragazza in una statua d'oro.

Guybrush dunque partirà per l'ennesima, sgangherata missione nel tentativo di riportare alla forma umana Elaine, ed ovviamente l'avventura si rivelerà - tanto per cambiare - demenziale e surreale.
Orfano del creatore della saga, Ron Gilbert, "La maledizione di Monkey Island" fu prodotto con considerevoli sforzi da parte della LucasArts, che investì sul progetto un bel po' di risorse, sia temporali che pecuniarie.

La maledizione di Monkey Island 

L'impostazione grafica fu totalmente stravolta rispetto ai primi due episodi originali: fu tutto convertito in un cartone, con uno stile molto fumettoso e colorato, con bellissimi sfondi disegnati a mano.
Alcuni fan di vecchia data storsero il naso per il nuovo aspetto grafico: il bello di "Monkey Island" era proprio nella serietà dell'ambientazione (anche estetica), che faceva da contrasto alla demenzialità dei personaggi; questo fatto, con una grafica totalmente virata verso il cartoonesco, ovviamente veniva a mancare.

C'è da dire però che, gusti a parte, l'impianto visivo è davvero una gioia per gli occhi: la risoluzione è 'alta', considerando l'epoca, ossia 640x480 e 256 colori a video; presa a comparazione con molte produzioni attuali, regge ancora magnificamente il confronto: tutto ciò è sorprendente, considerando che è un titolo del 1997.

La maledizione di Monkey Island 

Anche senza Gilbert - che comunque apprezzò il lavoro svolto - Jonathan Ackley e Larry Ahern riuscirono ad imbastire un impianto molto credibile: la storia è convincente e divertente, e le gag e le battute si susseguono senza sosta.
Lo SCUMM riprese quasi esattamente quello visto in "Full Throttle", quindi con menù contestuali a scomparsa (e la possibilità di combinare oggetti, cosa assente invece nell'avventura su due ruote di Ben).
Per molti, "La maledizione di Monkey Island" è un eccellente episodio, anche se orfano di Ron Gilbert; di sicuro, è un'avventura che 'acchiappa' il giocatore, e la sua non linearità e l'atmosfera comunque di carattere ne hanno decretato un grande successo di pubblico.

La maledizione di Monkey Island 

Analizzando il lato squisitamente economico, fu l'ultimo gioco della LucasArts a vendere davvero bene: il mercato era già profondamente cambiato, ed il tempo delle avventure grafiche totalmente 'punta e clicca' stava quasi per tramontare definitivamente.

Grim Fandango

Grim Fandango

Se siete di quelli che credono che tutte le difficoltà della vita (compresi i problemi economici) finiscano con la morte... Beh, siete tra quelli che allora rimarrebbero molto delusi dall'aldilà ideato dai ragazzi della LucasArts.
Il mondo ultraterreno è infatti se possibile ancora più fiscalizzato e burocratizzato di quello mortale: il Dipartimento Della Morte accoglie le anime dei trapassati e le indirizza verso la destinazione finale - il paradiso - in un viaggio che richiede minimo quattro anni, non necessariamente piacevoli, datosi che il regno dei morti sembra uscito direttamente da un romanzo noir degli anni '30 americano.
Ed è un romanzo pericoloso: anche da morti, si può ri-morire ancora, e stavolta definitivamente: basta che si viene sparati con una pistola caricata a... Fiori!

Grim Fandango

I defunti sono tutti potenziali clienti del Dipartimento Della Morte, e gli agenti che lavorano lì tentano sempre di accalappiarsi quelli migliori, ossia i più 'buoni': quelli che infatti sono stati particolarmente meritevoli nella vita possono ambire ad un biglietto per il leggendario treno Numero 9, che percorre tutto il mondo dei morti in soli 4 minuti anziché in quattro anni.
Uno degli agenti incaricati di vendere i pacchetti viaggio ai nuovi 'clienti' è Manny Calavera, un tempo ottimo dipendente ma ora caduto nella disgrazia più nera, datosi che tutti i clienti migliori (ovvero i più buoni) gli vengono sottratti dal suo collega Domino Hurley.

Grim Fandango

Quando Manny conoscerà l'ex crocerossina Mercedes Colomar - inspiegabilmente senza biglietto per il Numero 9, pur essendo stata quasi una santa nella passata esistenza - scoprirà una fitta e ramificata rete criminale di spaccio biglietti falsi, che lo porterà a girare in lungo ed in largo il mondo dei morti per ben quattro anni, nel tentativo di ritrovare e salvare la sua Mercedes, di cui presto s'innamora.

Nel 1998, con il mondo dei videogames impazzito per la nuova moda del periodo, ovverosia la tridimensionalità, Tim Schafer porta a compimento la pubblicazione dell'avventura più contestata della LucasArts, sulla quale i fan si spaccarono esattamente a metà: "Grim Fandango" è la prima graphic adventure totalmente in 3D, che abbandona definitivamente lo SCUMM ed impone il controllo diretto del personaggio sulla falsariga di un generico gioco in terza persona.

Grim Fandango

Su modello di "Resident Evil", gli sfondi sono pre-disegnati e statici, mentre i personaggi sono composti da poligoni, decisamente poveri per i canoni attuali ma sorprendentemente validi nel 1998.
Lo stesso Tim Schafer, in un'intervista, affermò che la scelta di passare al 3D risultò praticamente obblicatoria: giochi come "Super Mario 64" e "Tomb Raider" avevano cambiato per sempre il mondo dei videogiochi, e di questo fatto toccava necessariamente prenderne atto.

Non ci si lasci ingannare dalle apparenze, però: sotto l'immagine iniziale di un action in terza persona si nasconde un'avventura grafica pura e dura, ed il controllo diretto senza 'punta e clicca' è solo uno specchietto per le allodole.
Gli enigmi presenti nel gioco sono generalmente lineari, e gli episodi sono suddivisi in anni, esattamente quattro: la difficoltà è abbastanza contenuta, tranne che per il secondo anno, decisamente più ostico da affrontare.

Il sistema di controllo è ridotto ai minimi termini: sparito lo SCUMM, peraltro già pesantemente modificato nelle ultime pubblicazioni, l'interfaccia grafica praticamente è inesistente, e tutto è totalmente incentrato su Manny.

Grim Fandango

Proprio il sistema di controllo, e non tanto la grafica in 3D, fu un motivo di grosso scontro tra i fan ai tempi dell'uscita: alcuni l'apprezzarono, molti altri lo rigettarono totalmente, contribuendo in tal senso alle scarse vendite iniziali.
"Grim Fandango" fu una delusione, economicamente parlando: vendette malissimo, solo 180.000 copie nel primo anno di commercializzazione, ed il risultato (anche considerando i costi ingenti per la produzione) portò in crisi profonda la LucasArts; una crisi da cui, purtroppo, non si sarebbe mai più ripresa.

Fu anche l'ultima produzione originale: "Fuga da Monkey Island", l'ultima avventura grafica in assoluto della software house, è il quarto capitolo ufficiale della saga di "Monkey Island", ma di certo non è una nuova serie.
Col senno di poi, ora che sono passati tanti anni dalla sua uscita, è ingiusto dare a "Grim Fandango" colpe non sue: il gioco fu un'ottima avventura grafica, a tratti quasi geniale, che semplicemente scontò la grande colpa di essere uscita nel periodo di calo d'interesse globale per il genere.
Come per molti altri tioli LucasArts, nel 2015 è uscita la versione "Remastered" in HD per svariate piattaforme contemporanee.

Fuga da Monkey Island 

Fuga da Monkey Island

Dopo una luna di miele durata tre mesi, Guybrush Threepwood e Elaine Marley finalmente ritornano a Mêlée Island, isola della quale la neo signora Threepwood era governatrice.
Purtroppo, durante la loro assenza i due sono stati dati per morti, e ci sono in corso le elezioni per il nuovo governatore, ed il candidato che i sondaggi danno favorito è uno strafottente e snob Charles L. Charles (nome curioso, eh?).

Fuga da Monkey Island

Tra un complotto e l'altro, Guybrush si troverà immischiato in una losca trama che mira a convertire tutti i Caraibi in un'immensa catena di parchi gioco diciamo 'politicamente corretti', sfruttando l'enorme potere di un misterioso talismano voodoo, ossia l'L'insulto Supremo...

Ultima avventura grafica della storia per la LucasArts, ed è un finale decisamente amaro: "Fuga da Monkey Island" è universalmente considerata una delle avventure grafiche più brutte della storia, abbastanza odiata sia dallo stesso Ron Gilbert che dai fan, e pessima dal punto di vista di trama e caratterizzazione dei personaggi.

Fuga da Monkey Island

Il tempo delle avventure grafiche era già totalmente superato, e giocando al gioco questa cosa si sente e si tocca con mano: i dialoghi sono abbastanza insulsi, gli enigmi quanto mai banali e tutto il gioco semplicemente manca di carisma, di atmosfera e e di quel 'tocco Lucas' a cui i fan erano da sempre abituati.

Sviluppato in maniera abbastanza dozzinale, paradossalmente non fu così tanto bistrattato dalla critica, bensì proprio dai fan della saga, che sistematicamente lo bombardarono dei peggiori epiteti.
Non è decisamente l'episodio più amato della serie, però è comunque un titolo che, seppur nel suo male, è passato alla storia: è stato infatti l'ultima avventura grafica prodotta dalla LucasArts, dopo oltre un decennio di emozioni e capolavori.

Fine di un'era

Lucasfilm logo

Per oltre dieci anni, le avventure grafiche furono il tipo di videogiochi più amati dal pubblico di Macintosh, Commodore 64, Amiga e PC, e grossi sforzi furono indirizzati dai produttori per accontentare il mercato, che sembrava assorbire il genere con grande avidità.
I titoli che oggi noi chiameremmo 'tripla A', al tempo erano "Maniac Mansion", "Monkey Island 2" oppure "Day of the Tentacle": giochi capaci non solo di vendere enormi numeri di copie (legali, non contando quelle pirata), ma di far crescere un'intera generazione di giocatori.
Il periodo d'oro del genere e della LucasArts si fa partire dal 1987, anno di pubblicazione di "Maniac Mansion" e si fa generalmente concludere al 1998, anno in cui fu presentato al mercato lo sfortunato "Grim Fandango".
Artisti del calibro di Ron Gilbert, Tim Schaffer e Steve Purcell hanno prodotto autentici capolavori, pieni di fascino e poesia, capaci di far emozionare anche al giorno d'oggi.

Subito dopo la pubblicazione dell'ultimo "Fuga da Monkey Island", la LucasArts entrò in una profonda spirale recessiva: senza più idee, designer e risorse, passò un decennio annaspando e tenendosi a galla solo con lo sfruttamento intensivo delle license di "Star Wars", ma smise completamente di produrre contenuti originali.
Nel 2012, dopo l'acquisizione della Lucasfilm e tutte le aziende ad essa associate e da essa controllate da parte della Disney, per l'agonizzante LucasArts fu la fine di una lenta e dolorosa malattia: l'azienda fu dismessa l'anno successivo, ed i diritti per i giochi di "Star Wars" furono messi in concessione dalla Disney all'Electronic Arts.

Molti artisti che negli anni hanno contribuito al successo della LucasArts ora sono diventati sviluppatori indipendenti (tipo Tim Schafer e Ron Gilbert), oppure hanno fondato nuove compagnie come l'ottima Telltale Games, purtroppo durata troppo poco.

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